Allarme rosso nucleare
«Noi abbiamo bombe nucleari»: lo ha dichiarato il 19 febbraio a Russia Today l’analista politico saudita Daham al-Anzi, di fatto portavoce di Riyadh, ripetendolo su un altro canale arabo (vedi intervista su Pandora Tv). L’Arabia Saudita aveva già dichiarato (The Independent, 30 marzo 2015) l’intenzione di acquistare armi nucleari dal Pakistan (che non aderisce al Trattato di non-proliferazione), di cui finanzia il 60% del programma nucleare militare.
Ora, tramite al-Anzi, fa sapere che ha cominciato ad acquistarle due anni fa. Naturalmente, secondo Riyadh, per fronteggiare la «minaccia iraniana» in Yemen, Iraq e Siria, dove «la Russia aiuta Assad». Ossia, dove la Russia aiuta il governo siriano a liberare il paese dall’Isis e altre formazioni terroriste, finanziate e armate dall’Arabia Saudita nel quadro della strategia Usa/Nato.
Riyadh possiede oltre 250 cacciabombardieri a duplice capacità convenzionale e nucleare, forniti dagli Usa e dalle potenze europee. Dal 2012 l’Arabia Saudita fa parte della «Nato Eurofighter and Tornado Management Agency», l’agenzia Nato che gestisce i caccia europei Eurofighter e Tornado, dei quali Riyadh ha acquistato dalla Gran Bretagna un numero doppio rispetto a quello dell’intera Royal Air Force.
Nello stesso quadro rientra l’imminente maxi-contratto da 8 miliardi di euro – merito della ministra Pinotti, efficiente piazzista di armi – per la fornitura al Kuwait (alleato dell’Arabia Saudita) di 28 caccia Eurofighter Typhoon, costruiti dal consorzio di cui fa parte Finmeccanica insieme a industrie di Gran Bretagna, Germania e Spagna.
È la più grande commessa mai ottenuta da Finmeccanica, nelle cui casse entrerà la metà degli 8 miliardi. Garantita con un finanziamento di 4 miliardi da un pool di banche, tra cui UniCredit e Intesa Sanpaolo, e dalla Sace del gruppo Cassa depositi e prestiti.
Si accelera così la riconversione armata di Finmeccanica, con risultati esaltanti per chi si arricchisce con la guerra: nel 2015 il titolo Finmeccanica ha registrato in borsa una crescita di valore del 67%. In barba al «Trattato sul commercio di armamenti», ratificato dal Parlamento nel 2013, in cui si stabilisce che «nessuno Stato Parte autorizzerà il trasferimento di armi qualora sia a conoscenza che le armi possano essere utilizzate per attacchi diretti a obiettivi o a soggetti civili, o per altri crimini di guerra».
Alla denuncia che bombe fornite dall’Italia vengono usate dalle forze aeree saudite e kuwaitiane facendo strage di civili nello Yemen, la ministra Pinotti risponde: «Non facciamo diventare gli Stati che sono nostri alleati nella battaglia contro l’Isis, i nemici, sarebbe un errore molto grave».
Sarebbe soprattutto un «errore» far sapere chi sono i «nostri alleati» sauditi e kuwaitiani: monarchie assolute dove il potere è concentrato nelle mani del sovrano e della sua cerchia familiare, dove partiti e sindacati sono proibiti; dove i lavoratori immigrati (10 milioni in Arabia Saudita, circa la metà della forza lavoro; 2 milioni su 2,9 milioni di abitanti in Kuwait) vivono in condizioni di supersfruttamento e schiavitù, dove chi rivendica i più elementari diritti umani viene impiccato o decapitato.
In queste mani l’Italia «democratica» mette cacciabombardieri capaci di trasportare bombe nucleari, sapendo che l’Arabia Saudita già le possiede e che possono essere usate anche dal Kuwait.
Alla «Conferenza di diritto internazionale umanitario», la ministra Pinotti, dopo aver sottolineato l’importanza di «rispettare le norme del diritto internazionale», ha concluso che «l’Italia, in ciò, è paese enormemente credibile e rispettato».
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