Ala al Aswani: “In Egitto non c’è libertà la morte di Giulio per noi è inaccettabile”
Ala al Aswani, medico dentista e scrittore egiziano vicino agli intellettuali di sinistra del suo Paese, è autore fra gli altri del romanzo “Palazzo Yacoubian”
«Non si può tacere. Quello che sta accadendo in Egitto è terribile. Nel mio paese la libertà, sotto qualunque forma, è sempre più sotto attacco». Non tace Ala al Aswani. Il più celebre scrittore egiziano — autore di bestseller come
Palazzo Yacoubian, Chicago, Cairo Automobile Club — che fu al fianco della rivoluzione ai tempi di Piazza Tahrir, non smette di esprimere il suo dissenso. L’ultimo gesto è la firma, insieme ad oltre 500 esponenti del mondo dell’arte, della cultura e della società civile egiziana, di una dichiarazione di solidarietà con lo scrittore Ahmed Naji. Condannato a due anni di prigione per “offesa alla morale pubblica” a causa del contenuto del suo ultimo libro,
Istikhdam al- Hayat, l’uso della vita. Un appello dove si esprime la preoccupazione di vivere in un Paese dove l’arte, la cultura, la critica e il libero pensiero sono sempre più sotto attacco da parte dello Stato.
Cosa sta accadendo in Egitto?
«C’è meno libertà d’espressione oggi che ai tempi di Mubarak: il regime di Al Sisi teme tutto ciò che non controlla. Non solo: nella lotta politica contro i Fratelli Musulmani il regime ha finito per sposarne certi valori. E ora è terrorizzato da tutto ciò che riguarda la religione e la morale. Pensi che solo ieri cinque ragazzini cristiani sono stati condannati per essersi fatti beffa dello Stato Islamico. Citavano un verso del Corano: è bastato a mandarli in prigione…»
È in questa atmosfera che ha trovato la morte di Giulio Regeni?
«Assolutamente sì. Che storia dolorosa, inaccettabile, inesplicabile. Purtroppo parte del problema è che qui l’apparato di sicurezza è ancora gestito da uomini di Mubarak che si muovono guidati da un sentimento di vendetta nei confronti della rivoluzione. Per loro qualsiasi elemento di novità è potenzialmente rivoluzionario. Può trattarsi di arte d’avanguardia così come di uno studio scientifico. Che poi a modo loro rivoluzionari lo sono anche. Ma non nel senso che teme il regime».
Nel mirino non ci sono dunque solo gli oppositori. Oggi in Egitto anche artisti, intellettuali, studiosi sono in pericolo?
«Viviamo ormai in uno stato di polizia dove nessuno è al sicuro. Qualunque attività fuori dal coro può portarti in carcere. Puoi finirci per aver partecipato a una manifestazione pacifica. Per aver scritto un romanzo con un passaggio erotico, come Ahmed Naji. O, come la poetessa Fatima Naoot, per aver definito lo sgozzamento degli agnelli in occasione della festa islamica di Eid al-Adha, “il più grande massacro dell’umanità”. Una frase scritta su Facebook che le è valsa una condanna a tre anni per offesa alla religione. La mia impressione è che si sta rafforzando l’islamismo nella società nel tentativo di occupare il vuoto lasciato dall’uscita di scena dei Fratelli Musulmani a causa della repressione».
Lei ha paura?
«Sono abituato alla repressione e alla paura che comporta. Da quindici mesi, ormai, non posso pubblicare i miei articoli. Il regime ha fatto pressione sui giornali affinché non mi dessero spazio. Sono stato bandito dalla televisione. E dallo scorso dicembre anche i miei seminari sono stati cancellati. L’unica libertà che mi resta è Twitter. È lì che ormai esprimo il mio pensiero. Ma non mollo. Molti miei compagni sono in prigione: chi sta fuori ha il dovere di portare avanti la lotta ».
La gravità della situazione egiziana, soprattutto dopo la morte di Regeni, è sotto gli occhi di tutti. Eppure nemmeno l’attenzione internazionale sembra scalfire il regime…
«La vita è sempre più dura e la gente è sotto pressione: anche perché da una parte il regime la ricatta, dall’altra la confonde. Il messaggio che arriva continuamente è che se non accettiamo quel che sta accadendo, se ci ribelliamo di nuovo, l’Egitto finirà come la Siria. Dall’altra, i giornali sono pieni di notizie assurde e complottiste. Il dramma è che la gente ci crede sempre di più. Pensano che tutto sia frutto di cospirazioni: che perfino la rivoluzione sia stata pagata da paesi stranieri per distruggere lo Stato. Sì: la libertà in Egitto è sempre più in pericolo».
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