by Enrico Terrinoni, il manifesto | 26 Febbraio 2016 13:04
Oggi l’Irlanda va alle urne per il voto anticipato, un turno di elezioni nazionali particolarmente in bilico. I sondaggi dei giorni passati rimangono oscillanti, e dai vari schieramenti giungono moniti sui possibili esiti di un voto che potrebbe rimescolare come mai nella breve storia della repubblica gli equilibri di potere.
La coalizione governativa uscente, una strana coppia composta dal partito di maggioranza sempre più radicato negli scenari del conservatorismo, il Fine Gael di Enda Kenny, e un Labour Party che sotto la leadership di Joan Burton, attualmente vice primo ministro, pare aver abdicato a qualunque posizionamento a sinistra, ha di fatto traghettato il paese, a braccetto della Troika e a fronte di costi sociali enormi, fuori dalle secche di una crisi economica che pareva irreversibile. I risultati sul fronte economico e di abbattimento della disoccupazione sono impressionanti, se paragonati a quelli di qualunque paese europeo alle prese con simili problemi. Resistono tuttavia sacche di povertà evidenti, soprattutto a causa dell’insolvenza delle famiglie e del riappropriarsi da parte delle banche di migliaia di case, con i precedenti proprietari lasciati alla mercé degli eventi.
Contro l’austerità si schiera una sinistra litigiosa, composta da una variegata Anti-Austerity Alliance e da Sinn Féin, il partito repubblicano radicale. L’alleanza anti austerità include il partito socialista orfano del suo leader storico Joe Higgins, ora orchestratore nelle retrovie, e formazioni indipendenti nate a ridosso delle battaglie per il diritto all’acqua pubblica e contro i balzelli delle water charges imposte dal governo. La questione dell’acqua ha saputo raccogliere attorno a sé tutti i partiti alternativi. In prima fila proprio lo Sinn Féin di Gerry Adams, che da qualche anno ha potenziato la sua attività di propaganda anche nel sud, uscendo dagli angusti confini della diatriba repubblicani-unionisti del Nord. Adams stesso è ora deputato al parlamento della Repubblica, dopo aver abbandonato il suo storico seggio a Westminster come deputato della circoscrizione di West Belfast. È proprio lo Sinn Féin, in crescita da anni, la maggiore mina vagante di queste elezioni. Di due giorni fa la dichiarazione di Rory Quinn, ex segretario del Labour e varie volte ministro della repubblica, che la crisi del suo partito è dovuta principalmente alla perdita di consensi delle classi lavoratrici proprio a favore di Sinn Féin.
L’altra polarità imprescindibile di queste elezioni è il partito che ha per più tempo dominato le sorti della politica irlandese, ovvero il Fianna Fáil di MicheálMartin, ovvero la formazione del repubblicanesimo istituzionale e, negli ultimi decenni, partito conservatore che strizza l’occhio al liberismo. È considerato il maggior responsabile della crisi economica, avendo gestito la repubblica ininterrottamente dal 1987 al 2011. I suoi leader passati, tra cui Bertie Aherne, padre della nota scrittrice Cecilia, sono ancora estremamente invisi alla popolazione; ma il nuovo traghettatore, benché anch’egli parte integrante dei governi pre-crisi, si sforza di risultare il rappresentante del nuovo che avanza.
Qualche osservatore, nei mesi passati, paventava, nel caso di un tracollo della coalizione governativa, e della concomitante ascesa di Sinn Féin e del Fianna Fáil, una possibile coalizione tra i due partiti repubblicani, quello moderato e quello radicale, proprio in nome della presunta comune base identitaria. Scenario questo che evidenzierebbe problemi reali non solo per le opposte visioni economiche dei due partiti, distanti anche sulle grandi questioni sociali (aborto in primis), ma anche sul più vasto scenario degli obiettivi a lungo termine. Le diverse politiche che Sinn Féin propone nel nord e nel sud sono ancora tese alla creazione di una United Ireland. Ipotesi che suscita sospetto negli ambienti di Fianna Fáil , timoroso di vedersi superato a sinistra in quanto baluardo del movimento repubblicano. Più probabile, sempre in base agli esiti delle elezioni — di cui l’unica prospettiva certa parrebbe il polverizzarsi del consenso verso il Labour – una grande coalizione del tutto strumentale e senza precedenti tra i due maggiori partiti moderati, Fine Gael e Fianna Fáil.
Sul fronte opposto, Sinn Féin non è riuscito nonostante gli sforzi a ricomporre il puzzle di una grande alleanza a sinistra, il fantasma dell’Ira crea imbarazzi ai tanti partitini anti austerità, che ne temevano e ne temono l’egemonia. Siamo dunque di fronte a uno scenario del tutto incerto, in cui le ipotesi di apparentamenti sono puramente teoriche, e che soltanto i risultati effettivi di domani potranno aiutare in parte a chiarire.
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