La rivolta dei call center: “Disoccupati per il massimo ribasso”

La rivolta dei call center: “Disoccupati per il massimo ribasso”

Loading

Il ddl appalti e la clausola sociale approvata di recente per i call center sembrano non fermare l’emorragia di posti:  le cuffiette tornano in piazza con uno sciopero l’11 marzo e una manifestazione nazionale a Roma. I tagli si concentrano sulle commesse di Enel e Poste, attribuite con un ribasso così sfacciato da non permettere alle aziende che le avevano di mantenerle. In particolare, secondo Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom sono 3500 i lavoratori a rischio tra Almaviva e Gepin, mentre si arriverebbe a 8 mila con altri lotti in scadenza nei prossimi mesi e includendo imprese come Call&Call, Uptime, Abramo.

L’azione sulla politica, svolta in un doppio pressing sia da parte dei sindacati che delle aziende danneggiate dal dumping, non ha insomma sortito risultati concreti: manca il contrasto al massimo ribasso, mancano le sanzioni per chi non rispetta l’obbligo di informativa ai clienti sulle chiamate lavorate dall’estero (argine alle delocalizzazioni sempre più diffuse). E così gli operatori, al cessare di una commessa, vinta successivamente da chi abbassa i costi, perdono il posto: una spirale infinita.

La stessa “clausola sociale”, così come è formulata nel ddl approvato il 14 gennaio scorso, non sarà veramente efficace per salvare i posti legati a determinati operatori finché non verrà recepita nel rinnovo del contratto nazionale (già in ritardo di un anno), con il riferimento alla «territorialità»: fino a quel momento, per soddisfarla, basterà mantenere i livelli occupazionali precedenti, anche cambiando città (e quindi assegnando il lavoro a nuovi operatori, sottraendolo a quelli che lo gestivano prima).

Un settore non semplice da regolare, vista la tendenza delle aziende committenti ad abbassare continuamente i costi e la tentazione di tante imprese che offrono servizi in outsourcing di delocalizzare verso paesi come la Romania o l’Albania, dove si risparmia nettamente su salari, coperture previdenziali, tasse, sicurezza, tutele sindacali.

«Gli operatori in Italia sono circa 80 mila, e 15 mila sono le postazioni all’estero — spiega Riccardo Saccone, della Slc Cgil nazionale — In Poste abbiamo avuto assegnazioni da 0,29 a 0,32 centesimi al minuto, il che vuol dire circa 14–15 euro l’ora, soldi con cui certamente non riesci a pagare un lavoratore inquadrato con contratto nazionale. Noi chiediamo: dove si andrà a risparmiare? Un lavoro che rispetta tutti i crismi, dai contratti alle tutele, non può stare sotto il costo di 0,40–0,45 centesimi al minuto».

Domande che deve essersi fatta anche Almaviva — il maggiore gruppo del settore in Italia — dopo aver partecipato senza fortuna alla gara di Enel. Rinnovando in dicembre la solidarietà per i dipendenti (con punte del 45% a Roma e Palermo), ha protestato con una dura nota che suona come un avvertimento al governo: paventando una «inevitabile perdita di diverse migliaia di posti di lavoro, in assenza di immediati interventi diretti a modificare uno scenario di mercato dominato da gravi fenomeni distorsivi».

«Fenomeni dovuti — ha spiegato Almaviva — alla perdurante inosservanza delle leggi italiane sulla delocalizzazione delle attività — condizione più volte sottolineata dalle stesse autorità istituzionali -, al mancato rispetto del contratto nazionale, a gare pubbliche costantemente sotto il costo del lavoro, a un sistema squilibrato di incentivi e agevolazioni che seguitano ad alterare profondamente le condizioni di una corretta competizione».

Proprio gli incentivi del Jobs Act hanno creato in diverse realtà una sorta di paradosso: perché hanno favorito le assunzioni in alcune aziende, a scapito però dei vecchi operatori, divenuti troppo cari. Spesso gli sgravi e gli aiuti, sia nazionali che territoriali, servono a imprese che aprono e chiudono nell’arco di qualche anno: prendono i soldi e scappano, insomma. Ma con Poste e Enel «si è scesi a costi così bassi che per competere non bastano neanche gli incentivi di Renzi», conclude Saccone della Slc Cgil.



Related Articles

La disperata ricerca di tasse «buone»

Loading

Abbiamo saputo che il ministero dell’Economia ha elaborato addirittura nove ipotesi alternative di rimodulazione dell’Imu. La cosa è sicuramente positiva perché dimostra come le strutture dell’amministrazione stiano lavorando in profondità per cercare di risolvere un nodo che non è stato creato da loro ma dalla politica.

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment