Una bella eredità lasciata dalla “banchina dei preti” di Campi Bisenzio che Verdini colonizzò negli anni Novanta facendone il suo bancomat personale, attraverso sessanta tra conti correnti, carte di debito e di credito, deposito titoli, garanzie, operazioni extra conto. Oltre 40 milioni andarono alla compagna Maria Simonetta Fossombroni, al fratello Ettore, alle società di famiglia, agli amici e agli amici degli amici. Verdini, caritatevole, ha promesso di restituire il maltolto e sembra che in effetti abbia ridato 5 milioni. Usciti dalle sue tasche? Ma no, da quelle di Antonio Angelucci, l’ex barelliere fattosi re delle cliniche laziali e oggi deputato del suo gruppo politico.
Per carità, il mondo delle banche cooperative non è tutto imprintato sul modello verdiniano. ChiantiBanca, ad esempio, non è messa male, ha 32 filiali in Toscana tra Firenze e Siena ed è in attesa del via libera di Bankitalia per la fusione con BCC di Pistoia e BCC Area Pratese, che la porterà a 50 filiali e 310 milioni di patrimonio. In pista per presiederla non c’è un rustico qualsiasi, ma il è candidato Lorenzo Bini Smaghi, ex membro del board della Banca Centrale Europea, che in quella zona ha una splendida casa.
Su 376 banche di credito cooperativo, con circa 4.000 sportelli in 2.700 comuni, i commissariamenti censiti sono 16. Un po’ pochini per la verità, non solo per quella che Giuliano Amato ha definito l’“ubris appropriativa” della nostra gente, ma anche — come ha denunciato il capo della Vigilanza della Banca d’Italia Carmelo Barbagallo — per i conflitti d’interesse e la scarsa professionalità degli amministratori di questo tipo di banche, che spesso sono braccia strappate alla terra. Certo sono ben lontani da Leone Wollemborg, l’economista che nel 1883 fondò il primo credito cooperativo a Loreggia, nel padovano, e contribuì alla caduta di Giovanni Giolitti per lo scandalo della Banca Romana. Oggi la Banca Padovana di Campodarsego, che è un po’ l’erede della prima creatura di Wollemberg, è commissariata con 550 milioni in sofferenza e sta per passare alla BCC Roma, la più grande d’Italia con 11 miliardi di attivi, 9,5 miliardi di raccolta, 150 agenzie, 300 mila clienti, 30 mila soci nel Lazio e in Abruzzo e candidata al ventiduesimo posto tra le banche italiane.
Sembra buona anche la gestione della Banca di Cambiano con sede a Castelfiorentino, assai vicina al mondo renzista, non solo perché nella filiale di Firenze lavora il padre del sottosegretario plenipotenziario Luca Lotti, ma anche perché finanziò la campagna di Renzi per l’elezione a sindaco di Firenze. La Banca di Cambiano ha riserve superiori ai 200 milioni di euro, per cui vuole rimanere autonoma dopo la riforma. La quale prevede che le BCC sotto questa soglia dovranno confluire in una holding con capitale di un miliardo che si quoterà in borsa, lasciando ai vecchi soci il 51 per cento. Le pochissime con più di 200 milioni di riserve possono scegliere se aderire alla holding o restare autonome trasformandosiin Spa. Se i casi di malagestione sono soltanto 16, alcuni di questi sono decisamente raccapriccianti. Prendiamo il caso della BCC Terrad’Otranto, con sei filiali tra Lecce e provincia. Lì si sono presentati i carabinieri mandati dalla procura di Lecce con un papier di reati alto così. Le indagini hanno portato alle accuse di truffa, riciclaggio e estorsione aggravata dal metodo mafioso al presidente Dino Mazzotta, fratello del sindaco di Carmiano Giancarlo Mazzotta, paese del salentino di 11 mila abitanti che vanta tra i cittadini onorari Gianni Letta. Un altro Mazzotta, è detto “Gianni Conad” per via dei supermercati che gestisce. Il presidente uscente è accusato di essere legato al clan della Sacra corona unita dei fratelli Tornese. Il bello è che la banda di Carmiano, già colpita da più di un milione di multe, continua a sfidare la magistratura e la Banca d’Italia. Pochi giorni fa ha bocciato la lista degli amministratori indicato dai commissari e dalla Vigilanza eleggendo un suo presidente.
Quando non arrivano i carabinieri interviene la Corte dei conti. E’ il caso dell’Istituto per il Credito Sportivo, che viene considerato una BCC. Capitale di un miliardo e 100, patrimonio di 800 milioni, sofferenze e incagli sotto il 3% e utile di 17 milioni, destinato statutariamente a finanziare attrezzature e impianti sportivi da parte di enti locali e privati, percettore di proventi dei concorsi pubblici, l’Ics è commissariato praticamente dal 2011. Pare per colpa dell’ex ministro dell’Economia Domenico Siniscalco, accusato dai magistrati contabili di aver firmato nel 2005 una modifica dello statuto di finanza creativa che ha provocato un grave danno erariale: degli 82 milioni pubblici ottenuti in un quinquennio ne sarebbero stati restituiti soltanto 2,8. Ergo, Siniscalco dovrebbe restituire almeno 10 milioni, contro i 71 inizialmente richiesti dall’accusa.
Ci sono BCC come quella dell’Irpinia, commissariata, che con le incorporazioni sta cercando un salvataggio “fai da te” e altre che si limitano a gridare contro “il pasticcio” che il governo sta combinando. Bini Smaghi osserva che «non c’è una chiara diagnosi condivisa sulle criticità del movimento cooperativo e su quali leve debba incidere la riforma». Per di più «la classe dirigente di vertice del sistema si è dimostrata inadeguata».
La partita sulla riforma in questo mondo di cooperazione e finanza quasi sotterraneo, per gran parte avvolto nell’ombra, si annuncia perciò sanguinosa. «Il testo della riforma non è blindato, discutiamone», ha aperto il viceministro dell’Economia Enrico Morando. Purché non finisca in una polpetta in salsa Verdini.