Studio Bankitalia: il lavoro riparte per gli incentivi e non per il Jobs Act
Le riforme del mercato del lavoro attuate dal governo hanno contribuito a far crescere il numero di assunzioni a tempo indeterminato, ma gli effetti positivi sono principalmente legati agli incentivi fiscali piuttosto che al “Jobs Act”. A sostenerlo è la versione preliminare di un lavoro di due ricercatori della Banca d’Italia, visionata da Repubblica.
Lo studio è destinato a riaprire il dibattito su una delle riforme più controverse del governo di Matteo Renzi, che in settimana ha rivendicato l’impatto positivo del “Jobs Act” sul mercato del lavoro. «Amici gufi, siete ancora sicuri che non funzioni?» ha scritto il premier su Twitter.
Se il “contratto a tutele crescenti”, uno dei cardini del “Jobs Act”, resterà infatti in vigore nei prossimi anni, gli incentivi fiscali alle assunzioni sono stati notevolmente ridotti, anche per permettere al governo di passare altre misure fiscali come il taglio delle imposte sulla prima casa.
Il lavoro di Paolo Sestito, capo del servizio Struttura Economica di Bankitalia, e Eliana Viviano utilizza dati provenienti dal Veneto e relativi ai mesi tra gennaio 2013 e giugno 2015. I due ricercatori scrivono che circa il 45% delle nuove assunzioni a tempo indeterminato avvenute in quel periodo sono attribuibili ad almeno una delle due misure.
«Le due politiche hanno avuto successo sia nel ridurre il dualismo del mercato sia nello stimolare la domanda di lavoro, anche durante una recessione caratterizzata da un’altissima incertezza macroeconomica», scrivono gli autori. Questo effetto positivo è però quasi interamente spiegato dall’introduzione degli incentivi fiscali, mentre la combinazione del contratto a tutele crescenti e degli incentivi spiega solo il 5% delle nuove assunzioni a tempo indeterminato. Poiché questo tipo di contratti sono un quinto delle nuove assunzioni nel campione, i ricercatori trovano che il Jobs Act ha contribuito a creare appena l’1% dei nuovi posti.
Introdotto nel marzo 2015, il nuovo “contratto a tutele crescenti” limita di molto la possibilità di reintegro dei lavoratori licenziati nelle aziende con più di 15 dipendenti, sostituendolo nella maggior parte dei casi con un indennizzo, che aumenta con la durata di servizio.
A questa riforma strutturale il governo ha affiancato un piano di incentivi fiscali validi per tutto il 2015, che permette al datore di lavoro di non pagare, fino a una certa soglia, i contributi dei neoassunti per tre anni. L’incentivo è stato notevolmente ridotto per quest’anno, portandolo dal 100% al 40%, e tagliandone la durata a due anni invece di tre. Lo studio, che non riflette necessariamente le opinioni di Bankitalia e che è già circolato tra studiosi interni e esterni all’istituto, è il primo lavoro che cerca di isolare l’effetto causale delle riforme del governo sulle assunzioni a tempo indeterminato.
Un altro paper di un gruppo di ricercatori guidato da Marta Fana dell’Istituto di Studi Politici di Parigi, basato però soltanto su statistiche descrittive e non su più sofisticate indagini econometriche, aveva concluso che il Jobs Act non ha raggiunto gli obbiettivi di far crescere l’occupazione e incentivare i contratti a tempo indeterminato.
Gli studiosi di Bankitalia trovano che, estrapolando il dato veneto a tutto il territorio nazionale, il pacchetto di misure formato da Jobs Act e incentivi ha contribuito a creare circa 45.000 nuovi posti di lavoro a tempo indeterminato nei primi sei mesi del 2015.
Lo studio ha delle limitazioni: gli autori dicono di non poter fornire una valutazione complessiva delle nuove regole sui licenziamenti, né di riuscire a stimare quale potrebbe essere l’impatto di un’eventuale rimozione degli incentivi statali. Essi sottolineano inoltre che l’aumento delle assunzioni nei primi mesi del 2015 potrebbe essere stato determinato dall’attesa per le nuove misure già a partire dal 2014.
In settimana nuovi dati dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale hanno riscontrato circa 600.000 assunzioni a tempo indeterminato in più nel 2015 rispetto al 2014. L’Inps ha poi rilevato un ulteriore aumento delle trasformazioni da contratto a tempo determinato a tempo indeterminato pari a circa 160.000.
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