by Margherita De Bac, Corriere della Sera | 17 Febbraio 2016 12:27
ROMA È un «male comune» europeo ma in questo caso non c’è nemmeno un pizzico di «gaudio». Crollano le adozioni internazionali, aumentano le coppie in attesa: ottenere l’affidamento di un bambino è spesso un sogno che resta irrealizzato.
L’Italia non è esclusa da questa perturbazione. In cinque anni i nuovi arrivi di stranieri in famiglia si sono quasi dimezzati, passando dai 1.410 del 2010 a 850 nel primo semestre del 2015. Una minoranza rispetto ai circa 10 mila nati con tecniche di procreazione medicalmente assistita. Facendo il calcolo degli uni e degli altri probabilmente sta per verificarsi il sorpasso, già avvenuto in Spagna, dei figli della provetta su quelli adottivi. Tra i motivi che portano i genitori infertili verso i centri contro la sterilità c’è anche il timore delle attese interminabili per avere un bimbo dall’estero. E infatti ad avventurarsi lungo l’impervia strada dell’adozione sono sempre in meno: 3 mila coppie.
La situazione interna non è migliore, nel senso che prendere con sé un orfano è un’impresa. Il motivo della crisi globale? Alcuni analisti lo attribuiscono con molto ottimismo al miglioramento delle condizioni dei minori nei Paesi poveri. Ma in realtà in Africa l’epidemia da virus Ebola ha seminato migliaia di morti, spesso madri e padri insieme. I bambini rimasti soli sono diventati la conseguenza più drammatica dell’ondata distruttiva.
E allora da cosa dipende l’inclinazione della curva? In parte dal fatto che certi governi, un tempo molto generosi nell’autorizzare adozioni, sembrano diventati gelosi dei loro piccoli abbandonati. In parte esistono difficoltà pratiche per le coppie a ottenere l’idoneità nei loro Paesi. In questo il nostro apparato burocratico non brilla.
Gli enti autorizzati a seguire le pratiche per conto delle famiglie sono oggetto di una serie di critiche pesanti: in quattro anni non sono stati avviati rapporti con Paesi nuovi per aprire canali alternativi. E così vengono avvantaggiati gli aspiranti genitori di Francia e Spagna, dove le autorità sono più leste nell’intavolare il dialogo. Secondo ostacolo, i costi. Prima di riuscire ad avere con sé un bimbo della Russia già dato in affidamento, sono necessarie quattro trasferte, in Brasile bisogna attendere due mesi. Le spese lievitano e si aggiungono alle tasse locali, ai costi burocratici, ai servizi da pagare agli enti per l’assistenza. Infine le difficoltà burocratiche che finiscono per scoraggiare i più motivati. «Il disinteresse della politica ha raggiunto i massimi storici», tuona Marco Griffini, fondatore di Aibi, una delle associazioni con il patentino.
In un’interpellanza datata 2 febbraio e ancora senza risposte, la deputata Michela Brambilla (FI), presidente della Commissione infanzia, attribuisce la responsabilità della crisi all’inoperosità della Commissione adozioni internazionali, che opera presso la presidenza del Consiglio, ed è coordinata da Silvia della Monica: «Non si sono mai riuniti tranne che per l’insediamento. Da più parti vengono denunciate gravi anomalie nella gestione dell’organismo che compromettono il buon funzionamento del sistema». Non è stato reso pubblico, se esiste, l’aggiornamento dei dati sugli arrivi.
Ma Brambilla parla anche di «burocrazia interna farraginosa, rallentamenti e blocchi subiti da famiglie che attendono bambini provenienti da Colombia, Mali, Etiopia, Kirghizistan e Repubblica del Congo».
Margherita De Bac
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