Terrore e morte nell’ospedale colpito dai missili
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Feriti scaraventati giù dai letti con le flebo ancora nelle vene, lenzuola e camici insanguinati, vetri infranti, camerate e sale operatorie sventrate. È lo scenario provocato dai nuovi attacchi contro gli ospedali in Siria. Il più grave contro quello di Ma’arat al Numan. Due missili provocano la maggioranza delle vittime e i danni più gravi. La direzione di Medici senza frontiere accusa: gli aerei che hanno sparato, presumibilmente russi o dell’aviazione fedele ad Assad, avevano ordini specifici in merito.
I testimoni sul posto raccontano e documentano ora con le immagini diffuse dai loro portatili di feriti scaraventati giù dai letti con le flebo ancora nelle vene, un inferno di macchinari danneggiati, lenzuola e camici insanguinati, vetri infranti, camerate e sale operatorie sventrate dalla potenza degli spostamenti d’aria. Le ambulanze si sono ritrovate bloccate dai calcinacci: impossibile evacuare pazienti e nuovi feriti, strade impraticabili per l’allarme aereo ancora in corso e la consapevolezza che tanto il simbolo della mezza luna rossa non serve a nulla.
Sono gli scenari dei nuovi attacchi contro gli ospedali in Siria. Il più grave contro quello di Ma’arat al Numan. Qui i primi due missili provocano la maggioranza delle vittime e i danni più gravi. Quattro minuti dopo altri due fanno strage dei soccorritori. Nelle stesse ore altri due ospedali nella regione sono bombardati. «Il segno evidente che si è trattato di un’azione deliberata. I piloti degli aerei che hanno sparato, molto presumibilmente russi o dell’aviazione fedele a Bashar Assad visto che sono loro ad operare nella Siria settentrionale controllata dalle milizie ribelli, avevano ordini specifici in merito», denunciano al Corriere della Sera i dirigenti di Medici Senza Frontiere (Msf). «Se fosse stato un errore non sarebbe arrivato il secondo lancio di missili. Il risultato diretto è che adesso almeno altri 40.000 civili restano privi di assistenza medica. Cresce il rischio di epidemie tra i profughi. La situazione sanitaria nel Nord della Siria è a livelli catastrofici», dice il 42enne torinese Massimiliano Rebaudengo, capo missione che da Gaziantep coordina le attività.
Un bombardamento inaspettato nella sua sfrontata crudezza. In tempi di guerra, anche se le strutture sanitarie sono già state prese di mira, pazienti, personale sanitario e civili in generale cercano naturalmente zone franche dove la guerra resti fuori dalla porta. Ospedali e cliniche diventano così, nella psicologia collettiva, come isole di pace nel cuore della tempesta. Ma in Siria, in verità, non è mai stato così.
I due ospedali colpiti sono a Idlib e nella zona di Azaz, un pugno di chilometri dal confine con la Turchia. «Sono molti mesi che le strutture sanitarie vengono attaccate. Temiamo per il nostro ospedale Al Salama ad Azaz. Vi lavorano 160 dipendenti, che fanno un lavoro gigantesco con oltre 170 visite ambulatoriali quotidiane. In pochi mesi sono stati colpiti e chiusi almeno 9 ospedali», ci diceva tre giorni fa la fiorentina Olivia Tanini, numero due della missione di Msf.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità e Medici per i diritti umani, dal 2011 il fronte legato a Damasco è responsabile di almeno il 90% dei circa 340 attacchi contro 230 strutture sanitarie. Già nel 2012-13 il regime o le sue squadracce in civile applicavano la strategia del terrore contro la popolazione. Nei villaggi appena riconquistati ai ribelli tra le prime misure c’erano le esecuzioni di medici, infermieri e farmacisti. I siriani dovevano capire sulla loro pelle che chiunque stesse con la ribellione era privato di aiuto sanitario. Polizia e militari avevano ordine di arrestare sul posto chi avesse con sé medicine per trattare ferite gravi o in quantità superiori ad una dose.
I testimoni sul posto raccontano e documentano ora con le immagini diffuse dai loro portatili di feriti scaraventati giù dai letti con le flebo ancora nelle vene, un inferno di macchinari danneggiati, lenzuola e camici insanguinati, vetri infranti, camerate e sale operatorie sventrate dalla potenza degli spostamenti d’aria. Le ambulanze si sono ritrovate bloccate dai calcinacci: impossibile evacuare pazienti e nuovi feriti, strade impraticabili per l’allarme aereo ancora in corso e la consapevolezza che tanto il simbolo della mezza luna rossa non serve a nulla.
Sono gli scenari dei nuovi attacchi contro gli ospedali in Siria. Il più grave contro quello di Ma’arat al Numan. Qui i primi due missili provocano la maggioranza delle vittime e i danni più gravi. Quattro minuti dopo altri due fanno strage dei soccorritori. Nelle stesse ore altri due ospedali nella regione sono bombardati. «Il segno evidente che si è trattato di un’azione deliberata. I piloti degli aerei che hanno sparato, molto presumibilmente russi o dell’aviazione fedele a Bashar Assad visto che sono loro ad operare nella Siria settentrionale controllata dalle milizie ribelli, avevano ordini specifici in merito», denunciano al Corriere della Sera i dirigenti di Medici Senza Frontiere (Msf). «Se fosse stato un errore non sarebbe arrivato il secondo lancio di missili. Il risultato diretto è che adesso almeno altri 40.000 civili restano privi di assistenza medica. Cresce il rischio di epidemie tra i profughi. La situazione sanitaria nel Nord della Siria è a livelli catastrofici», dice il 42enne torinese Massimiliano Rebaudengo, capo missione che da Gaziantep coordina le attività.
Un bombardamento inaspettato nella sua sfrontata crudezza. In tempi di guerra, anche se le strutture sanitarie sono già state prese di mira, pazienti, personale sanitario e civili in generale cercano naturalmente zone franche dove la guerra resti fuori dalla porta. Ospedali e cliniche diventano così, nella psicologia collettiva, come isole di pace nel cuore della tempesta. Ma in Siria, in verità, non è mai stato così.
I due ospedali colpiti sono a Idlib e nella zona di Azaz, un pugno di chilometri dal confine con la Turchia. «Sono molti mesi che le strutture sanitarie vengono attaccate. Temiamo per il nostro ospedale Al Salama ad Azaz. Vi lavorano 160 dipendenti, che fanno un lavoro gigantesco con oltre 170 visite ambulatoriali quotidiane. In pochi mesi sono stati colpiti e chiusi almeno 9 ospedali», ci diceva tre giorni fa la fiorentina Olivia Tanini, numero due della missione di Msf.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità e Medici per i diritti umani, dal 2011 il fronte legato a Damasco è responsabile di almeno il 90% dei circa 340 attacchi contro 230 strutture sanitarie. Già nel 2012-13 il regime o le sue squadracce in civile applicavano la strategia del terrore contro la popolazione. Nei villaggi appena riconquistati ai ribelli tra le prime misure c’erano le esecuzioni di medici, infermieri e farmacisti. I siriani dovevano capire sulla loro pelle che chiunque stesse con la ribellione era privato di aiuto sanitario. Polizia e militari avevano ordine di arrestare sul posto chi avesse con sé medicine per trattare ferite gravi o in quantità superiori ad una dose.
Lorenzo Cremonesi
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