L’eredità di Scalia apre uno scontro tra poteri

L’eredità di Scalia apre uno scontro tra poteri

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NEW YORK Prima le condoglianze alla famiglia e il ricordo del giudice Antonin Scalia, morto in Texas, nella notte tra venerdì e sabato all’età di 79 anni. Poi le parole che innescano un’altra battaglia politica: «Ho intenzione di adempiere alla mia responsabilità costituzionale di nominare il successore nei tempi dovuti». Barack Obama si prepara, ancora una volta, allo scontro con il partito repubblicano.
La procedura per designare ciascuno dei 9 alti magistrati alla Corte Suprema è un esempio classico di bilanciamento tra i poteri federali. Il presidente degli Stati Uniti indica un nome, il Senato, ora dominato dai repubblicani, deve confermarlo a maggioranza. Dal 1789 a oggi i bocciati dalla Camera alta sono stati solo 36 su 160. Ma il 2016 si sta rivelando un anno di grandi lacerazioni nella società e nella politica americana. Proprio per evitare ulteriori controversie i nove giudici, eletti a vita, avevano fatto sapere che nessuno si sarebbe ritirato nell’anno elettorale. Ma, come è noto, la morte non tiene in alcun conto i programmi degli uomini e delle donne.
Prima della scomparsa di Scalia l’equilibrio all’interno della Corte era favorevole ai repubblicani: cinque giudici indicati dai presidenti Ronald Reagan e George Bush; quattro da Bill Clinton e Barack Obama (Sonia Sotomayor e Elena Kagan). L’ultima prova di quanto tutto ciò sia importante per il governo del Paese era arrivata il 10 febbraio scorso: la Corte bloccò l’entrata in vigore del «Clean Power plan», il piano sulla riduzione delle emissioni inquinanti promosso da Obama. Decisione presa, per l’appunto, con 5 voti a favore e 4 contrari.
Ora il presidente ha la possibilità di ribaltare gli schieramenti, sostituendo proprio il giudice più conservatore e più ostile con un progressista. I repubblicani sono in grande agitazione. E per una volta da molti mesi, l’establishment di Washington concorda con gli outsider candidati alla Casa Bianca.
Il leader dei conservatori al Senato, Mitch McConnell, non ha aspettato neanche che la bandiera scendesse a mezz’asta in segno di lutto nazionale per dichiarare: «Il popolo americano dovrebbe avere voce in capitolo nella scelta del prossimo giudice della Corte Suprema». In queste ore si sta sviluppando una complicata discussione tecnico-giuridica su quale sia la prassi più corretta da seguire nell’anno delle primarie. Ma la sostanza è politica. Hillary Clinton e Bernie Sanders, in campo democratico, sollecitano Obama a fare presto. Ted Cruz, uno dei contendenti per la nomination repubblicana, esagera e drammatizza come fa spesso: «Rischiamo di perdere il controllo della Corte per un’intera generazione». Non è così se non altro perché, tra i giudici di area democratica, Ruth Bader Ginsburg ha 83 anni e Stephan Breyer 78. Ma certo, con una figura diversa da Scalia si spezzerebbe l’assedio istituzionale che dalle elezioni di midterm del 2014 imbriglia Obama.
La prima mossa, comunque, tocca al presidente degli Stati Uniti. Il leader della Casa Bianca può scegliere un successore con forte connotazione ideologica, uno «Scalia democratico», oppure una personalità più moderata e quindi accettabile da almeno una parte dei repubblicani.
Giuseppe Sarcina


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