I turchi attaccano i curdi in Siria Obama e Putin cercano il disgelo

by Lorenzo Cremonesi, Corriere della Sera | 15 Febbraio 2016 8:50

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GAZIANTEP Restano profonde divergenze tra Washington e Mosca su modalità e priorità per arrivare al cessate il fuoco in Siria. Barack Obama continua a insistere affinché i jet russi blocchino i bombardamenti sulle milizie «moderate» dell’opposizione al regime di Bashar Assad. E soprattutto affinché l’affievolirsi dei combattimenti garantisca l’afflusso di aiuti umanitari alle zone civili sotto assedio. Da parte sua Vladimir Putin parla di continuare l’offensiva contro i «gruppi terroristi» come Isis e i qaedisti di Al Nusra. Il primo ribadisce la legittimità politica degli oppositori del regime siriano. Il secondo non si muove di un millimetro rispetto al tradizionale sostegno russo per Assad.
Sono le differenti interpretazioni date ieri dai portavoce della Casa Bianca e del Cremlino alla telefonata tra i due presidenti a illustrare quanto gli sforzi della diplomazia siano ancora in alto mare. «In particolare il presidente Obama ha enfatizzato il ruolo costruttivo della Russia nel cessare la campagna di raid aerei contro l’opposizione moderata», chiarivano a Washington. Mentre da Mosca si insisteva sulla validità di quegli stessi raid contro «lo Stato Islamico e altre organizzazioni terroristiche». La conclusione è sotto gli occhi di tutti: per il momento il pacchetto di intese molto vaghe raggiunte a Monaco venerdì resta lettera morta. Il cessate il fuoco in ogni caso, dovrebbe cominciare solo tra sei giorni. Un lasso di tempo che potrebbe garantire a Mosca, assieme all’esercito leale ad Assad, oltre che a militari iraniani e milizie sciite, di sferrare un colpo mortale alle milizie sunnite. A chiunque cerchi di contrastare l’offensiva, da Mosca rispondono con le minacce. «L’arrivo di nuove forze di terra potrebbe condurre ad una lunga guerra totale», ha replicato duro il premier russo Dmitrij Medvedev al segretario di Stato Usa, John Kerry, il quale ha accennato a quella possibilità nel caso del fallimento delle intese di Monaco. L’Arabia Saudita sta inviando nuovi caccia alla base turca di Incirlik.
L’asprezza delle parole di Medvedev riflette tra l’altro la contrarietà di Mosca rispetto ad un nuovo importante sviluppo sul terreno. Da tre giorni infatti l’esercito turco e le cosiddette Forze di Difesa Curde (Ypg), che operano nel Nord del Paese, sono impegnate in violenti scontri a fuoco. Ankara vede nelle aspirazioni autonomistiche dei curdi siriani un grave pericolo che minaccia la propria stabilità interna. Le Ypg sono infatti legate a filo doppio al Pkk, il Partito dei Lavoratori Curdi in Turchia, che il governo turco e larga parte della comunità internazionale accusano di terrorismo. Ma il problema rappresenta oggi uno degli aspetti più complicati del garbuglio siriano. Da oltre un anno le Ypg sono infatti una delle maggiori forze combattenti contro Isis in Siria. Hanno anche collaborato occasionalmente con l’enclave curda irachena, da cui però sono divise per interessi diversi.
Il risultato è che oggi sia Mosca che Washington tendono a considerarle come preziose alleate. La situazione è precipitata quattro giorni fa, quando approfittando dell’indebolimento delle milizie moderate sunnite a causa dei bombardamenti russi a nord di Aleppo, le Ypg hanno allargato i territori sotto il loro controllo raggiungendo anche l’importante aeroporto di Menagh, non lontano dalla cittadina di Azaz, sulla strada che collega Aleppo al confine turco. La reazione di Ankara è stata subito aggressiva. Ieri mattina erano visibili consistenti concentramenti di truppe curde sul confine presso Gaziantep. Secondo Mosca alcune centinaia di teste di cuoio turche sarebbero già entrate in territorio siriano. Il pericolo dell’escalation militare resta serio. Mentre le organizzazioni umanitarie in Siria continuano a segnalare la gravità dei bombardamenti russi che causano vittime civili e peggiorano le condizioni per decine di migliaia di profughi.
Lorenzo Cremonesi
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