by Roberto Livi, il manifesto | 14 Febbraio 2016 9:06
L’AVANA La «dichiarazione di Cuba», ovvero il documento comune firmato venerdì all’Avana da papa Francesco e dal patriarca di tutta la Russia Kirill, «è un simbolo di speranza e di pace per il nuovo mondo». L’incontro in terra cubana dei due massimi rappresentanti della cristianità, occidentale e orientale, è stato un avvenimento più che simbolico. «È servito ad ascoltare e a capire» e a mettere le basi «per l’unità (dei cristiani) chiesta da Dio», secondo le parole del leader della Chiesa ortodossa autocefala di Russia.
«L’unità si fa camminando», ha affermato il pontefice della Chiesa cattolica, sostenendo che il primo passo è stato compiuto, dopo quasi mille anni di separazione . Come «due fratelli» che si ritrovano e che, secondo Francesco, ora hanno di fronte a se un cammino «più facile». Grazie anche alla mediazione di Cuba e del suo presidente, Raúl Castro: «Se continua così, Cuba sarà la capitale dell’unità», ha sostenuto Francesco nel suo discorso seguito alla firma del documento.
L’incontro, «molto cordiale ed emotivo» ha come motivazione e obiettivo immediato la difesa dei cristiani perseguitati – a rischio «genocidio» secondo Kirill — dai fondamentalisti islamici in Medio oriente e Africa del Nord. Ma,ovvio, guarda più lontano, in un mondo globalizzato persegue l’unità della civilizzazione cristiana. Anche se nel documento comune vi sono elementi conservatori a difesa del matrimonio basato sull’unione di un uomo e una donna.
In controluce, ma certamente non secondario, l’abbraccio di Francesco e Kirill comporta anche un messaggio politico. Il dialogo come base dei rapporti in un pianeta agitato da guerre asimmetriche, conflitti che hanno anche una componente di scontro di civilizzazioni. In particolare, una variante della vecchia guerra fredda, ovvero il conflitto tra l’Occidente di Barack Obama e la Russia di Vladimir Putin, visto come nuovo despota orientale, che mostra le unghie in Ucraina e in Siria. Alcuni commentatori infatti hanno sostenuto che nell’incontro dell’Avana era presente «un convitato di pietra», ovvero il nuovo zar della Russia. Non vi è dubbio, infatti, che, dopo venti anni di trattative infruttuose, il capo della Chiesa russa abbia accettato di incontrare il pontefice romano anche su indicazione di Putin.
E anche la scelta di Cuba, come terreno neutro, implica il rilancio internazionale di un paese che prosegue a definirsi socialista, anche se impegnato in riforme. Papa Francesco ha accettato questa sfida, rilanciando ancora una volta la sua visione della Chiesa cattolica e del suo massimo rappresentante come creatrice di «ponti», anche sociali e politici.
«Dopo quello che hanno detto il patriarca e il papa che posso dire io… che ora resta (da concludere, ndr) la pace in Colombia», ha dichiarato il Raúl Castro, rispondendo alle domande dei giornalisti. Il presidente cubano ha fatto di nuovo sfoggio del suo pragmatismo (in questo differenziandosi dal fratello maggiore Fidel): pur in un periodo di crisi internazionale, Cuba continua a mantenere la sua identità socialista e il ruolo assunto dopo la rivoluzione, ossia di operare a favore di un’America latina libera dall’influenza imperialista del potente e aggressivo vicino del Nord.
Come primo papa latinoamericano, Francesco ha vissuto questo periodo della storia del subcontinente e, pur nelle differenze politiche, anche in senso lato (compreso l’ateismo di stato professato fino alla visita a Cuba del suo predecessore, Giovanni Paolo II), conosce e apprezza il ruolo di Cuba a favore dell’unità e dell’indipendenza dell’America latina.
Oltre all’importante messaggio ecumenico, dunque, l’incontro dell’Avana ha un indubbio valore politico: il dialogo come metodo per affrontare i conflitti, sia nel caso della crisi Ucraina, come in Medio oriente. E, per quanto riguarda Cuba, l’incontro dei leader cristiani e l’aperto apprezzamento del papa dovrebbero rafforzare la politica di dialogo scelta dal presidente Obama, come pure la linea riformatrice del vertice politico cubano guidato da Raùl. Le sfide sono grandi: fare ulteriori passi nella normalizzazione delle relazioni tra Cuba e Usa di modo che l’eventuale elezione di un nuovo presidente statunitense repubblicano non comporti una marcia indietro, ai tempi del confronto e del blocco economico (ancora vigente). E proseguire nella «modernizzazione» del socialismo cubano in modo che sia «prospero e sostenibile».
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