“Freddo e fame” così la piccola Garam è morta alla frontiera
ADANA (TURCHIA) Avvolta in una coperta troppo leggera e forse ancora bagnata dalla pioggia di due giorni fa, la piccola Garam se n’è andata nel sonno, esausta e denutrita, tra le braccia della madre. Ieri mattina, all’età di 11 mesi, Garam è morta di freddo nella squallida stazione di pullman di Adana. Da questa città industriale nel sud della Turchia, che fu l’Antiochia di Cilicia, i genitori in fuga dalle bombe russe e dall’avanzata delle forze del regime verso Aleppo speravano di raggiungere Istanbul. Il corpicino smagrito della bimba è adesso all’Istituto di medicina legale, un edificio di cemento all’interno dell’ospedale centrale: per legge è stato sottoposto ad autopsia, anche se le cause del decesso sono fin troppo evidenti.
Dice Mohamed Najar, un amico della famiglia di Garam, in viaggio assieme ad essa: «Prima di andare in paradiso ha pianto per ore. Era affamata, ma quello che sua madre poteva offrirle, ossia un po’ d’acqua e zucchero, la piccola lo rifiutava». Non riusciamo a rintracciarla, la madre di Garam, Nesrin Berdos, 33 anni, forse ricoverata in questo o in un altro ospedale di Adana. È Mohamed a raccontare alcuni dettagli della loro odissea, cominciata otto giorni fa. «Siamo stati costretti a lasciare il nostro villaggio alle porte di Aleppo dopo una serie ininterrotta di raid aerei. Eravamo una quindicina alla partenza e da allora è stata una marcia forzata. Fin qui abbiamo percorso quasi 100 chilometri, sempre tra mille difficoltà per rimanere abbastanza lontani dai centri abitati, bersagliati di continuo dai caccia russi che da Aleppo alla frontiera turca stanno distruggendo ogni cosa».
Ma Mohamed non dice come sono riusciti ad attraversare il confine turco-siriano, né quando. È probabile che siano stati aiutati da un passatore, fiorente professione nelle economie di guerra, e in particolar modo in questi mesi lungo il confine sigillato dalle autorità turche o lungo le coste di Bodrum, dove ieri sono annegati altri 38 migranti, tra i quali undici bambini. «È peggio morire affogati o morire di freddo? », si chiede Mohamed, berciando una bestemmia contro il suo Dio. «Ma che cosa abbiamo fatto noi siriani per meritare tutto ciò?». Già, perché la morte di Garam, più giovane del giovanissimo Alan, e di altre centinaia di bimbi annegati nell’Egeo è l’ennesima tragedia di migranti. Una tragedia assoluta e devastante, che riguarda una neonata in fuga dalle bombe, morta di fame e freddo.
E di questa guerra che negli ultimi cinque anni ha provocato più di 250mila vittime è stata svelata ieri un’altra nefandezza da una delle organizzazioni per i diritti civili più attendile, la Human Rights Watch. Nel suo rapporto denuncia che almeno 37 civili, di cui 9 bambini, sono stati uccisi il 26 gennaio scorso in 14 raid di aerei siriani e russi in cui sono state impiegate bombe a grappolo, messe al bando da tutte le convenzioni internazionali. A fine dicembre anche Amnesty International aveva accusato i russi di far uso di bombe a grappolo, affermando che centinaia di civili sono stati uccisi dai caccia di Mosca a partire dall’inizio dei loro bombardamenti sulla Siria, il 30 settembre scorso. E proprio ieri che in visita ad Ankara la Cancelliera Angela Merkel s’è detta inorridita dalla crisi umanitaria provocata dai raid di Mosca, la commissione d’inchiesta Onu sulla Siria ha denunciato le «migliaia di detenuti del governo siriano picchiati a morte o morti a causa delle torture o delle condizioni disumane in cui sono stati tenuti volontariamente». Il rapporto, presentato a Ginevra dal presidente della commissione Sergio Pinhero, ha un titolo eloquente: «Lontani dagli occhi, lontani dal cuore. Morti in detenzione nella Repubblica araba di Siria». Ovviamente, il testo accusa di «torture ed esecuzioni sommarie» anche lo Stato islamico e diversi gruppi armati, tra cui i qaedisti del Fronte Al Nusra.
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