Orrore a Mosul, giustiziati in 300
HANNO SENTITO avvicinarsi l’attacco delle truppe governative e i bombardamenti della coalizione a guida Usa, e hanno reagito nel modo più sanguinoso. Gli uomini di Daesh, il sedicente Stato Islamico, sanno che Mosul, la loro capitale irachena, è la prossima tappa nei progetti di riconquista del Paese da parte delle forze di Bagdad. E devono chiudere i conti aperti, prima che cominci la battaglia per riprendere la città, capoluogo della provincia di Ninive. Per questo, secondo i cronisti dell’agenzia curda Ara News, nei giorni scorsi è partito il massacro: sarebbero almeno trecento i civili uccisi a sangue freddo dai miliziani islamisti. Attivisti cittadini, militari delle forze armate governative, poliziotti, sarebbero caduti sotto i colpi dei fondamentalisti. Secondo Mahmoud Souraji, portavoce delle forze armate, la strage è stata compiuta nei centri di detenzione, in diverse località della zona. I detenuti sarebbero prima stati «torturati da jihadisti stranieri» prima dell’esecuzione.
Anche in attesa di conferme per questa notizia, è certo che il fronte iracheno si sta arroventando, e che la battaglia per Mosul è ormai questione di pochi mesi. Il governo iracheno ha appena spedito truppe di rinforzo alla base di Makhmour, 4500 uomini «addestrati nella zona di Bagdad».
È una prova dell’intenzione di avviare la riconquista del capoluogo, ceduto senza combattere nell’estate 2014. Ma è anche la conferma che nella battaglia saranno impegnate prevalentemente truppe governative, perché i curdi (addestrati da istruttori italiani a Erbil) considerano Mosul «città araba» e sono restii a spendere vite nella riconquista di territorio esterno ai tradizionale confini del Kurdistan.
Lo scontro che si avvicina sarà lungo: il fatto che a Mosul sia ancora presente la popolazione civile, di fatto ostaggio dei fondamentalisti, impedisce ai caccia dell’alleanza il bombardamento a tappeto. E se fosse dimostrato, come sostengono i curdi, che Mosul ospita un gran numero di jihadisti stranieri slegati dalla comunità locale (si parla di ceceni, sauditi, yemeniti), il pericolo di abusi (rappresaglie, utilizzo come scudi umani) sugli abitanti della città sarebbe ancora più alto.
La preoccupazione riguarda anche il contingente italiano, che nella tarda primavera dovrebbe schierarsi a protezione della diga di Mosul. I nostri militari dovranno soprattutto tener presente la possibilità di attentati kamikaze diretti contro di loro e contro le maestranze, più che contro le strutture della diga.
La difesa dello sbarramento e degli impianti sembra tutto sommato un impegno tranquillo: il pericolo di un’inondazione della piana appare davvero remoto, soprattutto se si tiene presente che la diga è “di terra” e non “di cemento”. Questo, dicono i tecnici, rende molto difficile farne saltare in aria le strutture, quanto meno nella rapidità di un attentato. Nella logica di Daesh, però, la propaganda vale più delle considerazioni strategiche, e l’ipotesi di un colpo contro soldati occidentali è sicuramente una tentazione forte per i fondamentalisti.
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