by Lorenzo Cremonesi, Corriere della Sera | 4 Febbraio 2016 10:06
Blocco dei negoziati a Ginevra solo due giorni dopo il loro inizio. «Una pausa temporanea», come l’ha definita ieri sera il loro architetto maggiore, l’inviato Onu per la Siria, Staffan de Mistura. «Non è la fine, non si tratta di un fallimento», ha cercato di schermirsi. In realtà al loro posto trionfa la guerra, in una delle sue fasi più dure e cruente. Soprattutto prevale l’offensiva del fronte legato al regime di Bashar Assad protetto e garantito dalla Russia e dai militari iraniani assieme alla milizia sciita libanese dell’Hezbollah contro l’universo dei gruppi ribelli sunniti. È questa in poche parole la situazione che dai campi di battaglia nella Siria insanguinata condiziona, sino a stravolgere e paralizzare, gli sforzi della diplomazia.
Nelle intenzioni di de Mistura in questi giorni nella città svizzera avrebbero dovuto porsi le basi per i colloqui tra regime e opposizioni volti ad avviare il processo di pace e porre fine a cinque anni di conflitto, già costato oltre 250.000 morti e 11 milioni di profughi. Ma proprio in queste ore dalla regione di Aleppo giungono notizie di «offensive senza precedenti» da parte delle forze lealiste, intensificatesi a partire da lunedì. Così ieri il portavoce del principale gruppo d’opposizione, Riad Hijab, ha detto che tornerà al tavolo solo se la situazione sul campo cambierà e ha aggiunto che si potrà parlare di un cessate il fuoco solo quando ci sarà una transizione senza il presidente Assad; da parte sua, invece, la delegazione del governo di Damasco ha dichiarato che non è scontato che tornerà a negoziare, accusando l’opposizione di ritirarsi perché sta perdendo sul campo. Duro il ministro degli Esteri francese Fabius che ha accusato la Siria e i suoi alleati di far saltare i colloqui con l’offensiva di Aleppo.
Ieri sera, dopo una lunga serie di raid dell’aviazione russa assieme a quella di Damasco, il fronte lealista (formato da soldati siriani, forze paramilitari, uomini dell’Hezbollah, unità scelte iraniane e mercenari sciiti afghani) ha conquistato Nubul e Zahraa, due villaggi sciiti nelle regioni settentrionali che erano sotto assedio da circa tre anni.
Migliaia di nuovi profughi sono in fuga. Ma il confine con la Turchia da alcune settimane è stato praticamente serrato. Chi fugge è costretto a trovare sistemazioni di fortuna nelle campagne, le strade sono insicure. Combattimenti investono varie altre cittadine. «In questo modo le milizie sunnite asserragliate dentro Aleppo rischiano forte. Potrebbero venire facilmente circondate in pochi giorni. Se così fosse, sarebbe una vittoria molto importante per Assad», confermano al Corriere alti esponenti del fronte dell’opposizione a nord di Aleppo.
Le conseguenze sono evidenti: il rombo delle armi prevale sul linguaggio del dialogo. «Come è possibile pensare al negoziato, se una delle due parti ne approfitta per conquistare territori e uccidere gli avversari?», denunciano «diplomatici occidentali» citati dalle agenzie internazionali a Ginevra. Tutto lascia credere che l’offensiva del regime durerà. Nessun cessate il fuoco e nessuna fine degli assedi alle città sunnite, così come chiesto dalle milizie ribelli. «Non termineremo le incursioni aree sino a quando non avremo sconfitto il terrorismo», sostiene lo stesso ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov. Ad Aleppo le forze di Isis sono irrisorie. I quartieri in mano ai ribelli sono invece presidiati dalle milizie di Al Nusra, Ahrar al Sham e Jaba al Shamiah. I loro militanti parlano adesso di «resistenza ad oltranza».
Lorenzo Cremonesi