Luca rientra, 1 a zero per il sindacato

by Antonio Sciotto, il manifesto | 3 Febbraio 2016 8:50

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«Rispetto al fatto commesso, il licenziamento rivela l’uso abusivo e strumentale del potere disciplinare, con chiara finalità ritorsiva». Viene definita con queste parole, dal giudice Alessandro D’Ancona del tribunale di Ferrara, la condotta della LyondellBasell nei confronti di Luca Fiorini, il delegato della Filctem Cgil licenziato a inizio gennaio nel pieno di una trattativa sindacale. Viene dunque accolto il ricorso del lavoratore e del sindacato, disponendo così il reintegro immediato di Fiorini.

Si conclude così – almeno per quanto riguarda la sentenza di primo grado – una vicenda che ha tenuto banco per diverse settimane sulla cronaca: in difesa di Luca, accusato di aver aggredito un dirigente in un momento concitato della trattativa e perciò licenziato, si erano schierati i lavoratori della LyondellBasell di Ferrara e di tutta Italia, con scioperi e assemblee di solidarietà da parte di altre fabbriche. La Cgil aveva chiesto la revoca anche per bocca della segretaria, Susanna Camusso, e sui social si era scatenata una campagna a forza di hashtag e cartelli: #iostoconluca.

Il giudice ha ravvisato un «comportamento antisindacale» da parte dell’azienda, affermando che il provvedimento disciplinare è stato emesso proprio per farlo allontanare dal tavolo delle trattative sull’integrativo: la sentenza parla infatti di «evidenziato carattere abusivo e strumentale dell’intimato licenziamento, avente natura e finalità antisindacale in quanto preordinato a fare cessare l’attività sindacale svolta da Luca Fiorini».

La LyondellBasell, da parte sua, ha commentato che «l’azienda – pur non condividendo quanto emesso dal tribunale – osserverà quanto deciso e il dipendente rientrerà al lavoro oggi (ieri per chi legge, ndr)». «La decisione del Tribunale sarà esaminata attentamente dalla società per poter definire le prossime azioni», prosegue la multinazionale Usa dei polimeri, non escludendo quindi la possibilità di richiedere un appello.

«Siamo certi che la risposta all’episodio sia stata in linea con la Politica della Società che definisce i comportamenti che i nostri dipendenti devono mantenere sul posto di lavoro in tutto il mondo – le conclusioni del comunicato LyondellBasell – L’azienda, come ha più volte dichiarato, è sempre stata disponibile a riprendere le normali relazioni industriali».

Nell’ultima parte della sua nota, il gruppo si riferisce al codice interno di etica aziendale, molto in voga presso i gruppi statunitensi ma meno utilizzato nelle relazioni industriali italiane: il giudice ha ritenuto che questo codice, «sebbene rilevante in relazione al tema esaminato, non ha tuttavia efficacia dirimente sulla decisione».

Piuttosto, il tribunale si è basato sulle testimonianze raccolte sul fatto contestato al sindacalista. L’azienda lo accusava di aver alzato la voce, bestemmiato, puntato un pugno contro un dirigente, a mo’ di minaccia, e di aver infine spinto un altro dirigente. Tutto questo, nel pieno della trattativa sull’integrativo, e dopo che per mesi – e in occasione dell’ultima seduta, per ore – azienda e sindacato si erano scontrati sulla cosiddetta «clausola di occupabilità»: in buona sostanza, il sindacato chiedeva di ricollocare i dipendenti in esubero su qualsiasi posizione aperta, mentre l’azienda voleva subordinare il ricollocamento all’effettiva corrispondenza del profilo del dipendente con la postazione disponibile. Proprio nel mese precedente le trattative, il licenziamento di due lavoratrici – poi revocato dopo una minaccia di sciopero – aveva ulteriormente scaldato gli animi.

Il giudice ha ridimensionato l’entità della presunta «aggressione», ritenendo comunque sproporzionata la sanzione del licenziamento: «Opportunamente contestualizzata e riferita allo svolgimento dell’attività sindacale – scrive – la reazione di Luca Fiorini va notevolmente ridimensionata rispetto alla gravità ritenuta dalla Basell».

In sostanza, secondo il giudice è piuttosto normale che si alzi la voce nel corso di una trattativa; la bestemmia, se anche ci fosse stata, «benché offenda il sentimento religioso, non è comportamento suscettibile di intimidazione». Il “pugno minaccioso”, secondo il complesso delle testimonianze, può essere stato il fraintendimento rispetto a un indice puntato verso la dirigenza, nel momento in cui veniva accusata dei due licenziamenti. Sulla «spinta», «non vi è prova della veemenza, né degli effetti che ha provocato sul dirigente».

Infine, non è stato ritenuto plausibile il riferimento al contratto fatto dalla Basell, che parlava di litigio «sul posto di lavoro»: in quel momento, nota il giudice, Fiorini non stava svolgendo prestazione di lavoro ma era in trattativa.

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