Quegli affitti scandalosi a 10 euro nel centro di Roma
by Sergio Rizzo, Corriere della Sera | 2 Febbraio 2016 10:08
Esiste un padrone di casa proprietario di oltre 43 mila appartamenti capace di rimetterci ogni anno più di 100 milioni di euro. Non è fantascienza: è Roma.
Una settimana fa una inchiesta di Antonio Crispino sul Corriere.it ha ripercorso ancora una volta le tracce dell’incredibile scandalo del patrimonio abitativo pubblico più grande del Paese. Uno scandalo nel quale si intrecciano clientele politiche, favoritismi e ricatti, all’ombra di una sconcertante indifferenza delle strutture amministrative, che non di rado sconfina nella complicità.
Case affittate perfino a cinque centesimi al mese, con contratti tramandati per generazioni, spesso a inquilini tutt’altro che indigenti. Talvolta nelle zone più prestigiose di un centro storico unico al mondo. Senza che nessuno si sia preso mai la briga di metterci davvero il naso dentro, a questo verminaio. E chi ha provato a farlo, ci ha solo provato, appunto. Risultati: zero carbonella. Nemmeno le inchieste giornalistiche, gli esposti e le denunce hanno scalfito questa immensa montagna di privilegi trasversali. Mentre i contribuenti, romani e non solo, hanno continuato per tempo immemore ad avere davanti uno spettacolo indecente. Basta dire che nel 2013 il Comune di Roma ha incassato 27,1 milioni di euro, per le pigioni dei suoi 43.053 immobili affittati a privati. Spendendo al contempo, per gestire il suo sterminato patrimonio, la bellezza di 138,9 milioni. Per ogni appartamento incassava mediamente 52 euro e 46 centesimi al mese e ne spendeva quasi 269 fra manutenzioni, aggio della ditta privata che gestiva gli immobili e altro ancora. Con una perdita secca di 111,8 milioni. Ma non è tutto. Perché per le 4.801 abitazioni che invece il Comune affittava dai privati per far fronte all’emergenza abitativa (non bastavano più di 43 mila case di proprietà) si tiravano fuori 21,3 milioni: mediamente 370 euro al mese per ognuna di esse, sette volte quello che incassava per i propri alloggi. E per i Centri di assistenza temporanea, cioè l’emergenza dell’emergenza, il Campidoglio arrivava a pagare anche pigioni mensili di 2.700 euro… Questi numeri rendono bene l’idea delle dimensioni del problema che il commissario prefettizio della capitale, Francesco Paolo Tronca, ha deciso di affrontare. E non possiamo che augurargli, nel poco tempo che necessariamente rimane al termine del suo mandato, di riuscire a mandare almeno un segnale: che cambiare questo andazzo indecente si deve e si può. Soprattutto colpisce un passaggio, nella nota con cui dopo aver confermato la sostanza dell’inchiesta del nostro Crispino si dà notizia delle verifiche in corso sul patrimonio immobiliare.
È quello che riguarda gli accertamenti in corso su eventuali colpe dei dirigenti del servizio immobiliare che si sono avvicendati in questi anni sul ponte di comando: chi ha sottoscritto certi contratti, chi non ha proceduto all’aggiornamento di canoni irrisori, chi non ha avviato le necessarie azioni per recuperare beni che si dovevano recuperare.
Il cuore di questo problema sta tutto lì. Inutile illudersi che si possa risolvere senza precise attribuzioni di responsabilità, senza che nessuno venga chiamato, come purtroppo sempre accade, a rispondere di certe azioni: si tratti di omissioni, di comportamenti dolosi o di corruzione.
Servirebbe anche a ristabilire la correttezza dei rapporti all’interno di un’amministrazione che qualcuno, come l’ex assessore alla mobilità Stefano Esposito, ha definito «compromessa». Separando le mele marce da quelle sane: che sono, ne siamo convinti, molte ma molte di più.