Attacco al cuore della Damasco sciita L’Isis rivendica la strage: 60 morti
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Due esplosioni, forse tre, in rapida successione alle 11.30 di ieri mattina a Damasco. Almeno sessanta i morti — in parte soldati e in parte civili — ma il numero potrebbe aumentare perché tanti dei 100 feriti sono gravi. La tv di Stato siriana ha mostrato un cratere nell’asfalto, auto e veicoli accartocciati, un edificio sventrato. L’attentato, rivendicato dall’Isis attraverso l’agenzia di stampa Al-Amaq , ha colpito il blindatissimo quartiere sciita di Sayyida Zeinab, un sobborgo popolare nel sudest rurale di Damasco. Gli estremisti sunniti hanno sottolineato, nel loro comunicato, di aver mirato a far strage di «apostati politeisti». Ed è un tentativo — secondo la responsabile per la Politica estera dell’Ue Federica Mogherini — di colpire le iniziative rivolte a un processo politico di transizione attraverso i colloqui di pace di Ginevra. Colloqui dai quali il Califfato è escluso.
La zona di Sayyida Zeinab è presidiata dal movimento sciita libanese Hezbollah, fedele al presidente Bashar Assad, e da volontari sciiti giunti da tutto il Medio Oriente: è uno dei luoghi più sacri agli sciiti, poiché vi sorge il santuario che custodisce la tomba di una delle nipoti di Maometto nonché figlia di Ali, considerato da loro il legittimo successore del Profeta.
Sayyida Zeinab è una zona militare sensibile, non è la prima volta che viene colpita: è stata teatro di duri scontri nei primi anni della guerra e, un anno fa, quattro persone morirono in due attentati suicidi, altre 9 su un bus di pellegrini diretti al santuario (per opera dei qaedisti di Al Nusra). Ma la zona è fortemente protetta e i kamikaze — due sia secondo le autorità che nella rivendicazione dell’Isis — devono essere riusciti a superare diversi checkpoint. Secondo l’agenzia di Stato Sana prima sarebbe esplosa un’autobomba. Subito dopo gli attentatori avrebbero azionato le cinture esplosive per fare strage tra la folla che accorreva. Sui social si vantano di aver colpito «la più importante roccaforte delle milizie sciite a Damasco». A parte la forte valenza simbolica dell’intero quartiere, alcuni testimoni affermano che un palazzo in parte distrutto dalle esplosioni ospitava al piano terra un quartier generale militare mentre ai cinque piani di sopra c’erano abitazioni civili. La rappresaglia è arrivata subito, durissima contro i quartieri in mano a vari gruppi di oppositori (non necessariamente legati all’Isis). «Due minuti dopo la notizia dell’attentato, abbiamo sentito i jet del regime levarsi sulla città. Insieme all’artiglieria hanno colpito la campagna di Ghouta e altre zone intorno alla capitale», dice al telefono da Damasco Anton Barbu, direttore del programma della Ong milanese Avsi in Siria. Il segretario di Stato Usa John Kerry ha lanciato un appello alle fazioni siriane perché usino questa occasione per porre fine a una guerra che rischia di trascinare con sé l’intero Medio Oriente. Mogherini ha sottolineato che la priorità è di alleviare le sofferenze dei siriani, garantendo accesso umanitario ed eliminando gli assedi. A Madaya ci sono stati altri 16 morti per malnutrizione nei giorni scorsi. «Madaya è un simbolo di quel che accade in tutto il Paese — spiega Barbu —, sono almeno 450 mila le persone che vivono in zone sotto assedio».
Viviana Mazza
La zona di Sayyida Zeinab è presidiata dal movimento sciita libanese Hezbollah, fedele al presidente Bashar Assad, e da volontari sciiti giunti da tutto il Medio Oriente: è uno dei luoghi più sacri agli sciiti, poiché vi sorge il santuario che custodisce la tomba di una delle nipoti di Maometto nonché figlia di Ali, considerato da loro il legittimo successore del Profeta.
Sayyida Zeinab è una zona militare sensibile, non è la prima volta che viene colpita: è stata teatro di duri scontri nei primi anni della guerra e, un anno fa, quattro persone morirono in due attentati suicidi, altre 9 su un bus di pellegrini diretti al santuario (per opera dei qaedisti di Al Nusra). Ma la zona è fortemente protetta e i kamikaze — due sia secondo le autorità che nella rivendicazione dell’Isis — devono essere riusciti a superare diversi checkpoint. Secondo l’agenzia di Stato Sana prima sarebbe esplosa un’autobomba. Subito dopo gli attentatori avrebbero azionato le cinture esplosive per fare strage tra la folla che accorreva. Sui social si vantano di aver colpito «la più importante roccaforte delle milizie sciite a Damasco». A parte la forte valenza simbolica dell’intero quartiere, alcuni testimoni affermano che un palazzo in parte distrutto dalle esplosioni ospitava al piano terra un quartier generale militare mentre ai cinque piani di sopra c’erano abitazioni civili. La rappresaglia è arrivata subito, durissima contro i quartieri in mano a vari gruppi di oppositori (non necessariamente legati all’Isis). «Due minuti dopo la notizia dell’attentato, abbiamo sentito i jet del regime levarsi sulla città. Insieme all’artiglieria hanno colpito la campagna di Ghouta e altre zone intorno alla capitale», dice al telefono da Damasco Anton Barbu, direttore del programma della Ong milanese Avsi in Siria. Il segretario di Stato Usa John Kerry ha lanciato un appello alle fazioni siriane perché usino questa occasione per porre fine a una guerra che rischia di trascinare con sé l’intero Medio Oriente. Mogherini ha sottolineato che la priorità è di alleviare le sofferenze dei siriani, garantendo accesso umanitario ed eliminando gli assedi. A Madaya ci sono stati altri 16 morti per malnutrizione nei giorni scorsi. «Madaya è un simbolo di quel che accade in tutto il Paese — spiega Barbu —, sono almeno 450 mila le persone che vivono in zone sotto assedio».
Viviana Mazza
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