Vivere senza cellulare
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Tra le prime foto presenti online di Steve Hilton, ex direttore di strategia di David Cameron, ce n’è una che lo ritrae appoggiato al finestrino di un aereo con un cellulare all’orecchio, una mano sulla fronte e fogli davanti: l’immagine classica dell’incapacità (o impossibilità) di staccare la spina. A quella vita fatta di rincorse, suonerie e sms compulsivi, lo stratega della campagna elettorale che ha portato i conservatori inglesi alla vittoria nel 2010 ha detto basta due anni dopo, abbandonando Londra e il suo smartphone. Destinazione California.
Si poteva pensare a un capriccio momentaneo, una reazione esagerata di un workaholic. E invece, come ha rivelato sul Guardian , Hilton continua a non avere il cellulare. All’inizio non è stata proprio una scelta: arrivato negli Stati Uniti ha continuato a usare vecchi Nokia rimediati su eBay, ma al terzo abbandono, ha deciso di non ricomprarlo. «Ricordo il momento in cui ho capito — ha scritto — che stava succedendo qualcosa di molto importante. Ero sulla mia bici, pedalando verso Stanford,e ho realizzato che era passata una settimana senza cellulare. Tutto andava bene, anzi meglio. Mi sentivo più rilassato, senza preoccupazioni, felice». La conseguenza ovvia sarebbe immaginare la sua nuova vita in una comunità di hippie californiani, tra sedute di mindfulness e yoga.
E invece l’uomo che co-pensò e autorizzò il poster «New Labour, New Danger» (con Tony Blair bendato con gli occhi da diavolo), adesso si trova in Silicon Valley, e dirige una start-up di analisi di dati sulla politica americana, mentre nel tempo libero si dedica al think thank conservatore Policy Exchange. Ha un telefono fisso, un pc portatile, controlla spesso la posta elettronica e ha un account Twitter che aggiorna regolarmente.
Che l’ambiente hippie sia forse tra le mura domestiche? Niente affatto. La moglie di Hilton, Rachel Whetstone, ex capo della comunicazione di Google, è oggi vice-presidente di Uber, mentre i due figli, di quattro e otto anni, vivono con l’Ipad come i loro compagni di classe. La lezione è presto data: per vivere (bene) senza cellulare non si deve rinunciare a nulla. Si può essere un bravo amministratore delegato («Mi faccio sempre prestare il cellulare quando devo controllare i nostri prodotti su mobile»), un padre attento («come facevano i nostri genitori e tutti i genitori della storia dell’umanità prima degli ultimi 20 anni?), un partner e amico presente («ho fatto tardi a un appuntamento solo una volta»).
In tre anni senza smartphone gli è capitato un solo incidente: ha fatto aspettare per ore un cliente importante al bancone per aver confuso il bar. Dopo l’episodio il suo socio ha provato a convincerlo a tornare sempre reperibile, ma Hilton è scoppiato a piangere. «La sola idea di avere un telefono mi aveva causato le lacrime. Credo perché mi ricordasse la vita che mi ero felicemente lasciato alle spalle: stress, tensione e ansia, tutto alimentato da quel device nella mia tasca». Nella società iperconnessa, in cui tutti controllano ossessivamente i propri account social, non avere uno smartphone rappresenta una scelta di profonda libertà. «L’idea che dobbiamo essere tutti contattabili in ogni momento non è solo bizzarra ma molto minacciosa». In fondo, quei device sempre con noi — sostiene Hilton autore di «More Human» (WH Allen) — non sono poi così diversi da braccialetti elettronici che monitorano i criminali in libertà vigilata. C’è solo un minuscolo, lieve rimpianto evidenziato da Hilton sul Guardian : l’impossibilità di avere un’auto tramite Uber in caso di bisogno. Ma in realtà, il politologo ha trovato una soluzione pacifica; farsi prestare il cellulare. Per questo, sua moglie lo definisce un ipocrita, uno di quelli che «beneficiano dell’essere senza telefono, scaricando sugli altri i costi». Ancora una volta, Hilton la prende con filosofia: «Capita al massimo cinque volte al mese». Non per questo si sentirà in colpa.
Serena Danna
Si poteva pensare a un capriccio momentaneo, una reazione esagerata di un workaholic. E invece, come ha rivelato sul Guardian , Hilton continua a non avere il cellulare. All’inizio non è stata proprio una scelta: arrivato negli Stati Uniti ha continuato a usare vecchi Nokia rimediati su eBay, ma al terzo abbandono, ha deciso di non ricomprarlo. «Ricordo il momento in cui ho capito — ha scritto — che stava succedendo qualcosa di molto importante. Ero sulla mia bici, pedalando verso Stanford,e ho realizzato che era passata una settimana senza cellulare. Tutto andava bene, anzi meglio. Mi sentivo più rilassato, senza preoccupazioni, felice». La conseguenza ovvia sarebbe immaginare la sua nuova vita in una comunità di hippie californiani, tra sedute di mindfulness e yoga.
E invece l’uomo che co-pensò e autorizzò il poster «New Labour, New Danger» (con Tony Blair bendato con gli occhi da diavolo), adesso si trova in Silicon Valley, e dirige una start-up di analisi di dati sulla politica americana, mentre nel tempo libero si dedica al think thank conservatore Policy Exchange. Ha un telefono fisso, un pc portatile, controlla spesso la posta elettronica e ha un account Twitter che aggiorna regolarmente.
Che l’ambiente hippie sia forse tra le mura domestiche? Niente affatto. La moglie di Hilton, Rachel Whetstone, ex capo della comunicazione di Google, è oggi vice-presidente di Uber, mentre i due figli, di quattro e otto anni, vivono con l’Ipad come i loro compagni di classe. La lezione è presto data: per vivere (bene) senza cellulare non si deve rinunciare a nulla. Si può essere un bravo amministratore delegato («Mi faccio sempre prestare il cellulare quando devo controllare i nostri prodotti su mobile»), un padre attento («come facevano i nostri genitori e tutti i genitori della storia dell’umanità prima degli ultimi 20 anni?), un partner e amico presente («ho fatto tardi a un appuntamento solo una volta»).
In tre anni senza smartphone gli è capitato un solo incidente: ha fatto aspettare per ore un cliente importante al bancone per aver confuso il bar. Dopo l’episodio il suo socio ha provato a convincerlo a tornare sempre reperibile, ma Hilton è scoppiato a piangere. «La sola idea di avere un telefono mi aveva causato le lacrime. Credo perché mi ricordasse la vita che mi ero felicemente lasciato alle spalle: stress, tensione e ansia, tutto alimentato da quel device nella mia tasca». Nella società iperconnessa, in cui tutti controllano ossessivamente i propri account social, non avere uno smartphone rappresenta una scelta di profonda libertà. «L’idea che dobbiamo essere tutti contattabili in ogni momento non è solo bizzarra ma molto minacciosa». In fondo, quei device sempre con noi — sostiene Hilton autore di «More Human» (WH Allen) — non sono poi così diversi da braccialetti elettronici che monitorano i criminali in libertà vigilata. C’è solo un minuscolo, lieve rimpianto evidenziato da Hilton sul Guardian : l’impossibilità di avere un’auto tramite Uber in caso di bisogno. Ma in realtà, il politologo ha trovato una soluzione pacifica; farsi prestare il cellulare. Per questo, sua moglie lo definisce un ipocrita, uno di quelli che «beneficiano dell’essere senza telefono, scaricando sugli altri i costi». Ancora una volta, Hilton la prende con filosofia: «Capita al massimo cinque volte al mese». Non per questo si sentirà in colpa.
Serena Danna
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