Più a destra di Orbán nasce il governo di Tihomir Oreskovic
Lo scorso venerdì, dopo 11 ore di dibattito parlamentare e 30 giorni di crisi politica a seguito dell’esito senza vero vincitore delle ultime elezioni, la Croazia ha un governo: l’esecutivo di destra guidato da Tihomir Oreskovic, manager croato-canadese di un’azienda farmaceutica israeliana.
È un tecnico non eletto, ma scelto come nome di compromesso tra i partiti di Hdz e del Most (il Ponte). Oreskovic parla male il croato, tanto che in Parlamento, invece di tenere un discorso politico, ha preferito presentare il suo programma in PowerPoint. Il suo principale campo d’interesse sarà l’economia, mentre il potere politico sarà nelle mani di Tomislav Karamarko, presidente di Hdz e vicepremier, già capo dei servizi segreti. Solo in parte il potere sarà diviso con Bozo Petrov, leader di Most (debole lista di amministratori locali, su cui gira voce di legami forti con l’Opus Dei).
Il Ponte, nelle elezioni aveva presentato un programma di sonore promesse animate da spirito antipolitico, alle quali in parte ha già rinunciato in cambio di poltrone ministeriali. Il vero scandalo del nuovo governo però, non è tanto il primo ministro che paragona lo Stato all’azienda, ma i ministri le cui dichiarazioni spaventano. Come ad esempio quelle del neoministro della cultura Zlatko Hasanbegovic, ricercatore di storia (esperto di vittime del comunismo) e fervido sostenitore del revisionismo, che ha pubblicamente negato che l’antifascismo sia un valore costituzionale fondante, e nel passato si è già mostrato come cultore di Ante Pavelic (duce dalla Croazia tra il 1941–45) e nemico dei matrimoni gay. Il P.E.N. Croazia e l’Associazione dei giornalisti, hanno lanciato una sottoscrizione pubblica contro la nomina di Hasanbegovic, ma tutto è stato invano.
Secondo il ministro, l’unico valore fondante della Croazia sarebbe la guerra patriottica degli anni Novanta. Si tratta di un’idea condivisa dal neoministro dei veterani di guerra, il quale anche dopo aver assunto l’incarico, ha sostenuto l’idea di compilare e pubblicare un elenco di tutti i traditori degli interessi nazionali durante la guerra patriottica. Di fatto, un invito alla lapidazione pubblica dei “nemici della patria”. La proposta è ufficialmente osteggiata dal Petrov, ma delle sue dichiarazioni c’è poco da fidarsi, vista la repentinità con cui le cambia. Tutto questo avviene con la benedizione dai preti locali, chiamati dai neoministri a lavare con l’acqua santa i ministeri e a scacciare gli spiriti maligni dei precedenti inquilini.
Così, tra benedizioni, un premier non eletto e che non capisce molto della cultura del paese che è stato chiamato a governare, con appena 3 donne nel governo (di cui un’ex suora), e tra una kermesse di grida nazionaliste, la Croazia ha lanciato una sfida all’Ungheria di Orban per ottenere il primato del governo più a destra della regione.
Però, ciò che differenzia la situazione croata, è che la destra non ha vinto le elezioni, ma al potere è arrivata con l’aiuto di un gruppo di ex seminaristi e chierichetti, assai forti nelle comunità di provincia.
Se la democrazia è l’impegno di costruire una comunità politica tra cittadini con diverse idee, capaci però di convenire pur dissentendo, è evidente che la democrazia in Croazia è in pericolo. Inoltre, va ricordato che una delle promesse elettorali della destra era di assicurare le frontiere contro i flussi migratori. È evidente che qualora la promessa si realizzasse, le sue conseguenze sarebbero molto più ampie e riguarderebbero non solo la regione, ma la stessa Unione Europea.
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