L’assedio, poi 400 civili rapiti A Deir Ezzor il massacro dell’Isis
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In quella che era la città più ricca di questo deserto ricco di petrolio la gente muore di malattie scomparse perché sono scomparse le medicine che le curano, riceve acqua potabile (quando lo è) ogni tre giorni, passa le giornate in fila per ottenere un pezzo di pane (i prezzi sono cresciuti del 1.500 per cento), l’elettricità è stata tagliata undici mesi fa.
A Deir Ezzor quattro quartieri sono ancora controllati dal regime di Bashar Assad, il resto intorno è sabbia e miliziani dello Stato Islamico fino al confine con l’Iraq. Le Nazioni Unite calcolano che in queste aree almeno 200 mila persone sopravvivano sotto assedio, intrappolate tra la ferocia dei fondamentalisti e i balzelli che il clan al potere a Damasco ancora impone: non può permettersi di perdere tutta la regione, le zone non ancora invase dal Califfato devono resistere costi quel che costi e a pagare sono i civili.
Da settimane qua attorno si combattono le battaglie più dure tra le truppe irregolari dell’Isis e l’esercito di Assad sostenuto dai bombardamenti dell’aviazione russa. I boss dello Stato Islamico cercano una rivincita dopo esser stati costretti al ritiro da Ramadi e da Sinjar in Iraq. I generali siriani stanno cercando di riprendere i territori tra Aleppo e Raqqa, le due offensive procedono in contemporanea per spezzare le linee di contatto e rifornimento tra i fondamentalisti.
Il governo centrale prova a estendere il controllo anche nella regione che ha sempre rappresentato la fonte di greggio, adesso quel petrolio serve a finanziare le operazioni e le offensive del Califfato. Come quella lanciata sabato per conquistare un altro pezzo mancante di Deir Ezzor: secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani nell’attacco sono stati uccisi 85 civili e 50 soldati.
L’organizzazione basata a Londra sostiene che almeno 400 persone, anche donne e bambini, siano state rapite dalle aree catturate e sarebbero state portate a Raqqa, quella che è diventata la capitale dello Stato Islamico in Siria. «I prigionieri sono tutti sunniti — dice Rami Abdel Rahman, che dirige l’Osservatorio — e sono i familiari dei combattenti pro regime».
Sana , l’agenzia di Stato siriana, denuncia un «massacro»: nell’assalto i miliziani avrebbero trucidato 300 civili, i corpi decapitati lasciati nelle strade o gettati nel fiume Eufrate. Sarebbero gli abitanti del distretto di Bagilya, nel nord di Deir Ezzor, dove i russi avevano paracadutato pochi giorni fa i carichi di aiuti e sarebbero stati ammazzati «per aver aiutato l’esercito siriano», come spiega Mohammad Qaddur Ajnyyja, governatore della provincia. Il villaggio sarebbe già stato ripreso dai militari.
Alcuni attivisti siriani smentiscono la strage, sostengono che si tratti di una mossa di controinformazione del governo che vuole spostare l’attenzione internazionale da Madaya, la città al confine con il Libano dove la gente sta morendo di denutrizione: Assad e gli alleati Hezbollah usano la fame come in un assedio medievale, una settimana fa hanno permesso a un convoglio delle Nazioni Unite e della Croce Rossa di consegnare il cibo, le medicine e i generi di prima necessità. Era la prima volta da ottobre.
Se i 300 morti fossero confermati, sarebbe il numero più alto di vittime in un solo attacco perpetrato dallo Stato Islamico. Nel 2014 sempre a Deir Ezzor i miliziani hanno ucciso decine di membri della tribù Shaitat che si oppone all’invasione di quelli che considera occupanti stranieri. Nell’agosto dello stesso anno hanno massacrato almeno duecento soldati siriani dopo aver catturato la base militare di Tabqa.
Deir Ezzor è isolata, le informazioni sono difficili da verificare. Jalal al-Hamad, portavoce del gruppo Giustizia per la vita, è in contatto con gli abitanti dei quartieri sotto assedio, racconta di poter ricevere notizie (molto raramente) attraverso WhatsApp. Ci sono due soli modi — spiega al quotidiano britannico Times — per lasciare le zone circondate: un volo militare destinazione Damasco costa un milione di lire siriane (oltre 4.100 euro), ci voglio i soldi ma il funzionario o ufficiale da corrompere è più facile da trovare. «La seconda opzione è molto meno cara: riuscire a ottenere un documento, sempre rilasciato dal regime, che permette di andarsene attraverso i territori controllati dallo Stato Islamico. Conosco due uomini che ci hanno provato, sono stati catturati e torturati a morte» .
Davide Frattini
A Deir Ezzor quattro quartieri sono ancora controllati dal regime di Bashar Assad, il resto intorno è sabbia e miliziani dello Stato Islamico fino al confine con l’Iraq. Le Nazioni Unite calcolano che in queste aree almeno 200 mila persone sopravvivano sotto assedio, intrappolate tra la ferocia dei fondamentalisti e i balzelli che il clan al potere a Damasco ancora impone: non può permettersi di perdere tutta la regione, le zone non ancora invase dal Califfato devono resistere costi quel che costi e a pagare sono i civili.
Da settimane qua attorno si combattono le battaglie più dure tra le truppe irregolari dell’Isis e l’esercito di Assad sostenuto dai bombardamenti dell’aviazione russa. I boss dello Stato Islamico cercano una rivincita dopo esser stati costretti al ritiro da Ramadi e da Sinjar in Iraq. I generali siriani stanno cercando di riprendere i territori tra Aleppo e Raqqa, le due offensive procedono in contemporanea per spezzare le linee di contatto e rifornimento tra i fondamentalisti.
Il governo centrale prova a estendere il controllo anche nella regione che ha sempre rappresentato la fonte di greggio, adesso quel petrolio serve a finanziare le operazioni e le offensive del Califfato. Come quella lanciata sabato per conquistare un altro pezzo mancante di Deir Ezzor: secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani nell’attacco sono stati uccisi 85 civili e 50 soldati.
L’organizzazione basata a Londra sostiene che almeno 400 persone, anche donne e bambini, siano state rapite dalle aree catturate e sarebbero state portate a Raqqa, quella che è diventata la capitale dello Stato Islamico in Siria. «I prigionieri sono tutti sunniti — dice Rami Abdel Rahman, che dirige l’Osservatorio — e sono i familiari dei combattenti pro regime».
Sana , l’agenzia di Stato siriana, denuncia un «massacro»: nell’assalto i miliziani avrebbero trucidato 300 civili, i corpi decapitati lasciati nelle strade o gettati nel fiume Eufrate. Sarebbero gli abitanti del distretto di Bagilya, nel nord di Deir Ezzor, dove i russi avevano paracadutato pochi giorni fa i carichi di aiuti e sarebbero stati ammazzati «per aver aiutato l’esercito siriano», come spiega Mohammad Qaddur Ajnyyja, governatore della provincia. Il villaggio sarebbe già stato ripreso dai militari.
Alcuni attivisti siriani smentiscono la strage, sostengono che si tratti di una mossa di controinformazione del governo che vuole spostare l’attenzione internazionale da Madaya, la città al confine con il Libano dove la gente sta morendo di denutrizione: Assad e gli alleati Hezbollah usano la fame come in un assedio medievale, una settimana fa hanno permesso a un convoglio delle Nazioni Unite e della Croce Rossa di consegnare il cibo, le medicine e i generi di prima necessità. Era la prima volta da ottobre.
Se i 300 morti fossero confermati, sarebbe il numero più alto di vittime in un solo attacco perpetrato dallo Stato Islamico. Nel 2014 sempre a Deir Ezzor i miliziani hanno ucciso decine di membri della tribù Shaitat che si oppone all’invasione di quelli che considera occupanti stranieri. Nell’agosto dello stesso anno hanno massacrato almeno duecento soldati siriani dopo aver catturato la base militare di Tabqa.
Deir Ezzor è isolata, le informazioni sono difficili da verificare. Jalal al-Hamad, portavoce del gruppo Giustizia per la vita, è in contatto con gli abitanti dei quartieri sotto assedio, racconta di poter ricevere notizie (molto raramente) attraverso WhatsApp. Ci sono due soli modi — spiega al quotidiano britannico Times — per lasciare le zone circondate: un volo militare destinazione Damasco costa un milione di lire siriane (oltre 4.100 euro), ci voglio i soldi ma il funzionario o ufficiale da corrompere è più facile da trovare. «La seconda opzione è molto meno cara: riuscire a ottenere un documento, sempre rilasciato dal regime, che permette di andarsene attraverso i territori controllati dallo Stato Islamico. Conosco due uomini che ci hanno provato, sono stati catturati e torturati a morte» .
Davide Frattini
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