La Libia tra raid anonimi e operazioni umanitarie

La Libia tra raid anonimi e operazioni umanitarie

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Un raid anonimo, un’operazione “umanitaria”, la prospettiva di un intervento militare: in Libia è escalation delle tensioni belliche. Domenica è stato colpito un convoglio Isis a Sirte. Nessuno si assume la responsabilità di un’azione in cerca d’autore: potrebbero essere stati i jet francesi o i britannici, l’aviazione di Tobruk o quella di Tripoli.

Silenzio da Parigi e Londra. Sono loro, però, dice Sky News Arabia, insieme agli Usa, a far volare aerei da guerra sopra la Libia. Mille soldati britannici sono già sul terreno, i jet di Sua Maestà volano a Cipro; marines sono già nel paese e 6mila francesi, inglesi e statunitensi (scrive il Daily Mirror) sono pronti a partire. Un’operazione che avrebbe come target la Mezzaluna petrolifera, tra Sirte e Bengasi.

Ad accelerare sono Gran Bretagna e Francia, l’Italia frena. Ieri il premier Renzi ha visto i ministri Pinotti, Gentiloni e Alfano e i capi di stato maggiore e polizia a poche ore dalla missione “umanitaria” dell’Aeronautica per soccorrere 15 feriti nell’attacco Isis al centro di addestramento della polizia libica a Zliten. I feriti sono stati portati all’ospedale militare del Celio.

Secondo quanto emerso, è stato il premier designato dell’esecutivo di unità al-Sarraj ad aver chiesto l’intervento italiano. Forse vuole soffocare così la rabbia libica che giovedì scorso ha avuto come target proprio il suo convoglio, assaltato a Zliten da una folla inferocita.

L’operazione non è meramente umanitaria: Roma – nel rapporto diretto con un governo che ancora non vede la luce – si pone come riferimento per non perdere influenza su un paese ricchissimo di risorse e vecchio partner commerciale, in un momento in cui gli alleati scaldano i motori della guerra. Lo farà fornendo basi aeree ma puntando così al ruolo di guida del fronte occidentale.

Lo farà perché deve arginare il bellicismo francese e britannico e garantirsi così il controllo delle porzioni di costa più ricche, attraverso un nuovo governo con cui ha già stabili contatti e la partecipazione dell’Eni nelle operazioni di messa in sicurezza dei giacimenti.



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