Governi in difesa e cittadini impauriti Così alzare muri è diventato un affare
LONDRA. Nel mondo che alza nuovi muri tra residenti e migranti, ricchi e poveri, cittadini e stranieri, c’è anche qualcuno che ci guadagna: chi li costruisce. Denominato “Perimeter Protection” (Protezione Perimetro), parafrasi di sapore geometrico forse per dargli un tono meno bellicoso, il business delle barriere, delle inferriate, dei reticolati di filo spinato e di ogni altra diavoleria per tenere fuori chi vorrebbe entrare (o chi vorrebbe fuggire da qualcuno e qualcosa) vive un boom prodigioso: l’anno scorso il fatturato globale del settore ha superato i 14 miliardi di dollari, entro il 2020 si prevede che sfiorerà 21 miliardi di dollari, con un incremento del 7 per cento annuo.
«Stiamo vedendo un enorme aumento della domanda per i sistemi di recinzione», dice Kai-Uwe Grogor, presidente dell’associazione tedesca della categoria, «il bisogno di sicurezza da parte di stati, aziende e privati è in crescita per una varietà di ragioni ». Le precisa Jorge Saura, direttore di una società spagnola dello stesso campo: «La gente ha paura e ben diritto di averla considerato quello che sta succedendo, fra le ondate di profughi che invadono l’Europa, gli attentati terroristici a Parigi e le violenze di massa dei migranti contro le donne a Colonia». Entrambi hanno partecipato questa settimana alla fiera mondiale delle cortine di ferro e di ogni altro materiale che si è tenuta appropriatamente in Germania, il paese cui spetterebbe il copyright in materia, sebbene il “padre di tutti i muri”, quello di Berlino, lo abbia abbattuto nell’indimenticabile 1989.
Da allora la tecnologia dei muri ne ha fatta di strada, come riferisce il Guardian di Londra analizzando gli ultimi modelli presentati alla fiera di Norimberga: da Quickfence, sensori a fibre ottiche altamente sensibili collegati a telecamere a circuito chiuso, a Peperosso, non un night-club bensì un congegno in grado di spruzzare polvere di paprika a chili in faccia a chi varca una determinata linea di confine, da Roboguard, specie di robot da mettere di guardia alle proprietà, a quanto pare più efficace di un pastore tedesco («e non c’è nemmeno bisogno di nutrirlo»), a Quadrosense, recinzione così sensibile che dà l’allarme non solo se la tocchi ma pure se si cerca di passarle sotto. Alcuni si possono comprare spendendo relativamente poco e si rivolgono chiaramente ai privati (come gli spruzza-paprika, prodotti ungheresi, in vendita a 500 euro l’uno); altri, decisamente più cari, interessano soltanto a governi: la barriera di metallo e cancellate lunga mille chilometri posta lungo la frontiera fra Turkmenistan, Afghanistan e Iran è costata 5 milioni e mezzo di euro.
Non c’è dubbio che il proliferare dei muri sia uno dei fenomeni del nostro tempo: tra la barriera fra Israele e Territori Palestinesi, la rete metallica anti-migranti fra Ungheria e Serbia, la recinzione progettata tra Russia e Ucraina, quella minacciata da Donald Trump fra Stati Uniti e Messico se diventerà presidente, per tacere del mai demolito muro di Belfast fra cattolici e protestanti, basta guardarsi intorno per vederne uno. Gli esperti riuniti sostengono in effetti che ci sono oggi tante barriere divisorie lungo i confini dei paesi europei quante ce n’erano all’epoca della guerra fredda e del muro di Berlino.
Altro discorso è se siano una risposta civile e risolvano davvero i problemi. Né è detto che proteggano sempre dalle intrusioni, specie quelle più tecnologicamente sofisticate: oggi chiunque può comprare un piccolo drone capace di superare senza sforzo qualunque muro.
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