by FEDERICO RAMPINI, la Repubblica | 31 Gennaio 2016 9:27
DES MOINES L’Amministrazione Obama accorre in difesa delle “sue” multinazionali, nella guerra sull’elusione fiscale lanciata dalla Commissione europea. Dopo i casi di Apple e Google perseguite dal fisco italiano, nonché l’offensiva generale di Bruxelles contro i privilegi fiscali delle grandi aziende, un alto esponente del Tesoro Usa in visita alla Commissione ha accusato l’Unione europea di trattamento discriminatorio. Robert Stack, il dirigente del Tesoro Usa responsabile per la fiscalità internazionale, ha sottolineato che i bersagli dell’offensiva europea sono «in modo sproporzionato aziende americane». L’allusione riguarda procedimenti vari che hanno coinvolto Apple, Amazon, Google, Mc-Donald’s, Starbucks. Nei giorni precedenti accuse simili erano state rivolte all’Unione europea anche da un gruppo di senatori di Washington. E’ un raro caso di sintonia tra l’esecutivo (Amministrazione Obama) e il legislativo (Congresso a maggioranza repubblicana) che la dice lunga sul potere delle lobby aziendali. E’ del resto un tema sollevato da Rupert Murdoch: il magnate dell’informazione ha sostenuto che Google infiltra diversi lobbisti in seno a governi di tutto l’Occidente.
Stack ha usato un argomento significativo: ha sostenuto che l’offensiva lanciata dall’Europa pretende di far pagare delle tasse che in realtà sono di competenza degli Stati. Quel gettito imponibile è roba nostra, sostiene dunque l’alto dirigente del Tesoro. Tuttavia né l’Amministrazione Obama né tantomeno il Congresso hanno preso misure per chiudere quei “loop-holes” (cavilli legislativi che le aziende sfruttano a proprio vantaggio) dove nasce la possibilità per le multinazionali di spostare virtualmente all’estero la sede dei propri profitti. In un’audizione al Congresso di Washington il chief executive di Apple, Tim Cook, ha potuto sostenere di non aver mai violato le leggi americane, pur trasferendo in Irlanda gran parte dei suoi utili per pagarvi aliquote infinitesimali (in certi casi lo 0,2%). Complice lo stallo tra Obama e i repubblicani, non c’è in vista nessuna riforma della normativa fiscale americana per chiudere i varchi; eppure il tema dell’elusione fiscale della grandi aziende riscuote attenzione e un’inedita convergenza tra candidati come Donald Trump e Bernie Sanders. Ieri un editoriale del New York Times ha sollevato l’attenzione anche su un’altra perversione fiscale: le cosiddette “tax inversion”, operazioni in cui un’azienda americana si fa acquistare da una società estera per sottrarsi completamente alla tassazione nel proprio paese. Eppure continua a usufruire di importanti servizi, infrastrutture, prestazione pubbliche. E’ una forma di parassitismo, contro la quale tuonano i candidati ma le riforme non arrivano.
La commissaria europea Margrethe Vestager ha più volte ammonito che le attuali convenzioni bilaterali in vigore tra gli Usa e diversi Stati Ue (inclusa l’Italia) si chiamano trattati contro la doppia imposizione ma di fatto funzionano come dei trattati “per la doppia non-imposizione”. La Commissione stima che solo gli Stati Ue perdono annualmente un gettito di 70 miliardi di euro per l’elusione delle multinazionali.
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