Crac Banca Etruria il faccendiere Carboni imbarazza papà Boschi “L’ho visto due volte”

by FABIO TONACCI, la Repubblica | 16 Gennaio 2016 9:49

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«Pierluigi Boschi è venuto da me due volte, a Roma». Parla Flavio Carboni, l’uomo che porta sulle spalle un’accusa pesantissima per cui tuttora è sotto processo: aver costituito la P3, un’organizzazione segreta che voleva condizionare il funzionamento degli organi costituzionali. Parla. E ciò che racconta potrebbe mettere in imbarazzo, non poco, l’ex vicepresidente di Banca Etruria e padre del ministro delle Riforme .

Carboni risponde al telefono dalla sua Sardegna. La voce squilllante e vivace, nonostante gli 84 anni. «Ho visto il signor Boschi un anno e mezzo fa in via Ludovisi, a Roma, dove c’è l’ufficio che rappresenta gli interessi di un russo con il quale collaboro. In una delle due occasioni siamo rimasti giù al bar. Sono stati incontri fugaci, non ci siamo soffermati sulle problematiche bancarie, perché, sa, non sono la persona più adatta a parlare di banche… Abbiamo discusso di tante cose, discorsi di circostanza». Flavio Carboni non è uomo che ha bisogno di presentazioni, il suo “curriculum” parla per lui: coinvolto (e poi assolto) nel caso Calvi, amico di Licio Gelli, accusato di essere vicino a quel Pippo Calò che curava gli affari finanziari dei Corleonesi. E, di recente, presunto capo della P3.

A portare Pierluigi Boschi da Carboni a Roma sarebbe stata una terza persona, un sardo di 47 anni trasferitosi ad Arezzo anni fa che di nome fa Valeriano Mureddu. A Repubblica conferma le circostanze. «Sì, c’ero anch’io – dice – conosco Boschi perché quando sono arrivato in Toscana avevo dei vigneti e dei campi da coltivare, e lui si occupa di questo settore. Siamo amici. Durante una cena tempo fa mi rivelò di essere molto preoccupato per le sorti della Banca Etruria, in cui era diventato vicepresidente. Lui e Rosi (Lorenzo, ex presidente) si sono dannati l’anima per risanare i conti. Durante quella cena, dicevo, mi chiese se conoscessi qualcuno molto preparato che potesse ricoprire il ruolo di direttore generale dell’Etruria, e io pensai di rivolgermi al mio amico Carboni ».

Dunque, ricapitolando. In base a due testimonianze concordanti, quelle di Flavio Carboni e Valeriano Mureddu, il papà del ministro delle Riforme dopo aver deciso di accettare la poltrona di vicepresidente propostagli da Rosi, chiede a Mureddu un parere su chi possa proporre al consiglio di amministrazione come successore di Luca Bronchi, direttore generale in uscita. E lui gira la richiesta a Carboni, che si interessa della questione. Spunta infatti il nome di Fabio Arpe, fratello del famoso banchiere Matteo Arpe. Chi lo segnala? Una quarta persona, amico di Carboni: l’ex leghista Gianmario Ferramonti. «E’ stato lui a darmi l’idea di indicare Arpe – racconta Carboni – Non ho fatto il nome direttamente a Boschi, però l’ho girato a Valeriano perché glielo recapitasse. Poi non so che fine abbia fatto la mia segnalazione (come direttore generale fu scelto Daniele Cabiati, ndr), mi piaceva però l’idea di aver fatto un favore a Valeriano cui voglio molto bene». Sono solo millanterie? E, soprattutto, chi è Valeriano Mureddu?

Questa parte dell’intreccio l’ha ricostruita ieri il quotidiano Libero. Mureddu vive a Rignano sull’Arno, a poche centinaia di metri da casa di Matteo Renzi. Nel marzo 2014 è stato denunciato dall’Agenzia delle Dogane con altri quattro imprenditori per una presunta evasione milionaria dell’Iva. Durante una perquisizione nella sede della società Geovision srl di Civitella in Val di Chiana, sono stati ritrovati dossier su persone e aziende realizzati dall’agenzia investigativa Sia srl. La procura di Perugia ha aperto un fascicolo e sta indagando sull’esistenza di una presunta associazione segreta in violazione della Legge Anselmi di cui farebbe parte anche Mureddu. «Sciocchezze », ribatte lui. «Sono una persona onesta che vuole solo coltivare la terra». Pierluigi Boschi non commenta, nemmeno per smentire. Da quando è cominciato lo scandalo Etruria non ha voluto rilasciare interviste. La sua versione dei fatti l’ha consegnata mesi fa, in 41 pagine di memoria difensiva, nelle mani dei funzionari di Bankitalia che stanno valutando se e di quanto multare gli ex componenti del cda della Popolare. «Il procedimento è da reputarsi illegittimo – esordisce Boschi senior, riferendosi a Palazzo Koch – le disposizioni in materia di sanzioni non prevedono la facoltà di audizione, né l’incolpato può difenderesi per iscritto o oralmente. Tanto costituisce una violazione del principio del contraddittorio». Sulla mancata fusione con la Popolare di Vicenza, una delle contestazioni che gli vengono mosse, scrive: «Era un’offerta soggetta a numerose condizioni di assai improbabile realizzazione e, dunque, non vincolante. La sua mancata sottoposizione all’assemblea è apparsa la soluzione più logica ». Fa notare di aver agito «sempre in stretto coordinamento con la Vigilanza». E sull’accusa che più lo infastidisce, cioè quella di aver fatto parte di una commisione informale interna poco trasparente, dice: «La mancata verbalizzazione degli incontri della Commissione è pienamente giustificata dal carattere informale, e comunque solo consultivo e di raccordo della stessa, nonché dal fatto che è stata solo in rarissime circostanze convonvata collegialmente. Avevamo l’obbiglo, puntualmente adempiuto, di riferire al cda. Non si comprende dunque il cenno degli ispettori alla mancanza di trasparenza ». Ora però, su Pierluigi Boschi, un’altra tegola. Le dichiarazioni di Flavio Carboni.

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