Qualche dato
Nel 2015, secondo Oxfam, 62 persone hanno accumulato la stessa ricchezza di 3,6 miliardi di persone (la metà più povera della popolazione mondiale). Cinque anni fa le persone che avevano una ricchezza pari a quella del 50 per cento più povero della popolazione mondiale erano 388, nel 2014 erano 80. Le ricchezze di queste 62 persone sono cresciute del 44 per cento tra il 2010 e il 2015, arrivando a 1.760 miliardi di dollari. Oxfam cita anche un dato secondo cui nello stesso periodo le ricchezze della metà più povera dell’umanità sarebbero diminuite di oltre mille miliardi di dollari: ma andrebbe preso con le molle, visto che i dati internazionali considerati più affidabili dicono il contrario.
E in Italia?
Oxfam Italia ha pubblicato un rapporto che riguarda nello specifico il nostro paese. I dati sulla distribuzione nazionale della ricchezza del 2015 mostrano come l’1 per cento degli italiani più ricchi abbiano il 23,4 per cento della ricchezza nazionale netta. L’aumento della ricchezza dal 2000 al 2015 non si è distribuito in modo equo: oltre la metà secondo Oxfam è andata al 10 per cento più ricco degli italiani.
Perché?
Una delle cause indicate da Oxfam è il divario tra la tassazione e la remunerazione dei capitali e i redditi da lavoro. Nei cosiddetti paesi ricchi, e nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo, la quota di reddito nazionale attribuita ai lavoratori si è ridotta: significa cioè che i lavoratori beneficiano di una parte sempre meno consistente dei proventi della crescita. «I possessori del capitale, invece, hanno beneficiato di un aumento dei guadagni ad un tasso di crescita più veloce di quello dell’economia».
È aumentato anche il divario tra lavoratori medi e dirigenti. «Mentre la retribuzione di molti lavoratori è in stagnazione, quella dei top manager è aumentata enormemente (…) Per esempio, nelle principali aziende statunitensi tali retribuzioni sono aumentate del 54,3% dal 2009 a oggi, mentre i salari dei lavoratori sono rimasti pressoché invariati. L’amministratore delegato della più importante ditta indiana nel settore informatico guadagna 416 volte di più del suo impiegato medio». Non solo: si è allargata la forbice tra la produttività dei lavoratori e i loro salari, questi ultimi ricevono cioè compensi sempre minori.
Alcune imprese possono poi «abusare di posizioni di monopolio e dei diritti di proprietà intellettuale per influenzare e distorcere il mercato a proprio favore, escludendo da esso i propri concorrenti e facendo lievitare i prezzi pagati dalla gente comune». Infine, il rapporto si occupa a lungo di abusi fiscali, della riduzione delle imposte sulle rendite da capitale e dei paradisi fiscali che hanno ulteriormente contribuito ad aumentare le disuguaglianze.
I paradisi fiscali
Scrive Oxfam: «In tutti i Paesi del mondo il gettito fiscale serve a pagare i servizi pubblici, le infrastrutture, la pubblica sicurezza, il sistema del welfare e gli altri beni e servizi necessari per il funzionamento del Paese. Regimi fiscali equi sono di vitale importanza per finanziare il corretto funzionamento e l’efficienza degli Stati, nonché per consentire ai governi di adempiere ai propri obblighi e tutelare il diritto dei cittadini a ricevere servizi essenziali quali sanità ed istruzione». Ma la capacità dei governi di riscuotere le tasse dovute è molto bassa: «Ricchi individui e grandi imprese che intendono sottrarsi ai propri obblighi contributivi ricorrono a uno degli strumenti più immediati a loro disposizione: i paradisi fiscali e i centri finanziari offshore, caratterizzati da segretezza e regimi di imposizione fiscale bassa o nulla per i non-residenti».
Questo sistema permette che una grande quantità di risorse «restino intrappolate in alto, fuori della portata della gente comune e senza ricaduta alcuna per le casse pubbliche degli Stati». Il rapporto dice anche che circa 7.600 miliardi di dollari di ricchezza individuale (più dei PIL di Regno Unito e Germania messi insieme) sono attualmente custoditi offshore. Oxfam ha analizzato 200 imprese, tra cui le più grandi del mondo e i partner strategici del Forum Economico Mondiale: e sostiene che 9 su 10 siano presenti in almeno un paese considerato un “paradiso fiscale”.
Le conseguenze
Oxfam scrive che «la crescente disuguaglianza economica nuoce a tutti in quanto pregiudica la crescita e la coesione sociale; per i più poveri del mondo, tuttavia, le conseguenze sono ancora più gravi. I fautori dello status quo sostengono che l’allarme disuguaglianza è alimentato dalla “politica dell’invidia” e citano spesso la riduzione del numero di persone in estrema povertà quale prova del fatto che la disuguaglianza non è un problema prioritario». Oxfam dice di riconoscere «gli enormi progressi che dal 1990 al 2010 hanno contribuito a dimezzare il numero di persone al di sotto della soglia di estrema povertà» ma precisa che «se nello stesso periodo non fosse peggiorata la disuguaglianza, altri 200 milioni di persone si sarebbero affrancati dalla povertà; e tale cifra sarebbe potuta salire a 700 milioni se i poveri avessero beneficiato della crescita economica più dei ricchi».
In questo contesto di crescente disuguaglianza economica, peggiorano anche le altre forme di disuguaglianza e le donne restano ad esempio la parte di popolazione più svantaggiata. Citando una ricerca del Fondo Monetario Internazionale (FMI), Oxfam fa notare che nei paesi con un alto livello di disuguaglianza economica esiste anche un maggiore divario tra uomini e donne in termini di condizioni di salute, livelli di istruzione, partecipazione al mercato del lavoro e rappresentanza nelle istituzioni. È più ampio anche il divario retributivo di genere e perfino tra le 62 persone più ricche del mondo 53 sono uomini. Le donne rappresentano la maggioranza dei lavoratori sottopagati e la presenza femminile si concentra nei lavori precari.
Oxfam dice anche che «A causa degli ammanchi dovuti a pratiche diffuse di abuso fiscale, i governi si ritrovano con l’acqua alla gola: da qui la necessità di tagliare servizi pubblici essenziali e il sempre più frequente ricorso alle imposte indirette, come l’IVA, che gravano in misura sproporzionata sui soggetti meno abbienti.
Le proposte
Parte del rapporto propone una serie di azioni per invertire la tendenza alla disuguaglianza: pagare ai lavoratori «un salario dignitoso» e colmare il divario con gli stipendi dei manager aumentando i salari minimi; promuovere la parità economica delle donne e i loro diritti ricompensando il lavoro di cura non retribuito, ponendo fine al divario retributivo di genere, migliorando la raccolta di dati per valutare l’impatto di genere delle politiche economiche; tenere sotto controllo l’influenza delle élite istituendo registri pubblici obbligatori dei lobbisti e regole più severe sul conflitto d’interessi, «riformando il quadro normativo, in particolare per quanto attiene alla trasparenza dell’azione di governo», assicurando che vi sia piena trasparenza sui finanziamenti privati ai partiti politici, «introducendo norme che impediscano il fenomeno delle “porte girevoli” che permettono un continuo interscambio tra grandi società e governi».
Oxfam propone anche di fare in modo che i medicinali siano accessibili a tutti a prezzi sostenibili, che il carico fiscale sia equamente distribuito, che sia potenziato il settore pubblico piuttosto che il ruolo di quello privato per quanto riguarda la fornitura di servizi essenziali. Come priorità su tutte, Oxfam chiede ai leader mondiali un’azione coordinata per porre fine ai paradisi fiscali.