by Guido Olimpio, Corriere della Sera | 30 Gennaio 2016 9:46
WASHINGTON La diplomazia cerca soluzioni per la crisi siriana e il regime, grazie al decisivo appoggio di Mosca, avanza. Successi che solo il tempo dirà quanto duraturi, poiché i lealisti hanno sempre problemi nel difendere le conquiste. Quanto agli avversari pesano le divisioni croniche.
L’offensiva
I russi hanno condotto quasi 6 mila incursioni aeree senza badare troppo a chi ci fosse sotto: gli obiettivi primari sono rimasti gli insorti e non l’Isis. Il Cremlino ha messo a disposizione artiglieria, razzi a lungo raggio, bombe anti bunker. Hanno impiegato le loro forze speciali e mandato al fronte alti ufficiali. Gli iraniani, gli hezbollah, le milizie sciite (iracheni, afghani) hanno svolto un ruolo chiave affiancando le unità locali. L’obiettivo — come ha indicato Elijah Magnier, giornalista di Al Rai — è di tagliare i due corridoi di rifornimenti: quello che parte dalla Turchia e l’altro che arriva dalla Giordania. Possibile che il comando russo voglia controllare al Bab contando anche sull’avanzata da est dei curdi su Manbij. Una manovra per ostacolare eventuali iniziative di Ankara e tener in pugno uno snodo strategico.
Le mosse
L’offensiva a oriente di Latakia ha rovesciato le posizioni. Prima dell’intervento della Russia erano in pericolo, ora il regime ha ripreso località importanti, come Salma e intende allargarsi. L’altro settore da seguire è quello di Aleppo. I contendenti stanno concentrando reparti, i qaedisti di Al Nusra hanno appena inviato una lunga colonna di oltre 200 veicoli senza che un singolo caccia la prendesse di mira. Il movimento Nur al Din al Zenki, invece, ha lasciato la zona sostenendo di non aver ricevuto materiale bellico adeguato dall’estero, un riferimento anche ai missili Tow. A Est il regime ha rotto l’assedio alla base di Kweires ma deve vedersela con l’Isis. E sempre lo Stato Islamico ha stretto ancora di più la morsa su Deir Ezzor. Al centro gli insorti hanno risposto con operazioni nella regione di Hama.
Il fronte Sud
I lealisti hanno ripreso Sheikh Miskin mettendo in difficoltà formazioni dell’Fsa e ora sono in movimento sul fronte di Kuneitra. Gli insorti hanno attribuito il rovescio all’incessante azione dei velivoli russi, ad una riduzione nel flusso di armi, ai rapporti difficili con il centro di coordinamento in Giordania, dove sedevano anche gli americani. Lamenti che ritroviamo anche da parte di brigate ribelli presenti in altre regioni, accuse accompagnate dalla denuncia di pressioni da parte di Washington per accettare la trattativa. E indiscrezioni parlano di contatti tra Amman e Mosca per una tregua locale. Di certo c’è che l’uso dei missili anti carro Tow è crollato. Ne hanno di meno? I lealisti hanno adottato tecniche per ridurne l’impatto?
La zona curda
E’ come un piccolo grande gioco. I curdi siriani Ypg giocano tra due sponde. La prima è rappresentata dagli Usa. Grazie alla copertura dell’aviazione statunitense i separatisti si sono spinti a ovest dell’Eufrate. Non è poco in quanto il fiume rappresentava la linea rossa invalicabile tracciata dalla Turchia. La loro meta è la cittadina di Manbij, anche se vorrebbero arrivare a Jarabulus, sul confine turco. L’altra meta, complessa, è Raqqa, una delle capitali dell’Isis. La seconda sponda per l’Ypg è rappresentata dalla Russia, ben lieta di usarli in chiave anti-Ankara. Le mosse delle superpotenze ruotano attorno a due località. Gli americani hanno allungato una vecchia pista a Rmeilan e schierato reparti d’élite. Ufficialmente è un appoggio per «operazioni umanitarie», in realtà si tratta di un avamposto che può svolgere un ruolo più importante. I russi hanno risposto con 50 commandos nell’aeroporto di Qamishli, sempre nella zona curda.
Il risiko siriano resta instabile, sempre suscettibile di mutamenti repentini, e toccherà agli insorti rispondere per mettere in discussione i successi del nemico.
Guido Olimpio
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