Mezzanotte di fuoco la rivolta dell’Oregon finisce nel sangue

by VITTORIO ZUCCONI, la Repubblica | 28 Gennaio 2016 12:15

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Sotto una grande luna hollywoodiana, piena ed enorme in un cielo della prateria stranamente limpido in quella notte, altro sangue bagna la Frontiera dell’Oregon dove da due secoli si muore per i pascoli e le vacche. La farsa della rivolta degli ultimi cowboy contro il governo di Washington – e contro i nativi che non contano nulla – finisce nell’uccisione di uno di loro, in un duello a fuoco con gli sceriffi locali e i “federali” dell’Fbi lungo una strada nel cuore del grande nulla del West.

Nessuno voleva davvero questa “Mezzanotte di Fuoco” nella Riserva Naturale del Malheur, della malasorte, ancora una volta fedele al nome che cacciatori francesi di pelli le appiccicarono quando la loro canoa si rovesciò nel fiume portando via un anno di pellicce e la vita di molti di loro. L’occupazione della casupola dei Rangers, vuota d’inverno per l’assenza di visitatori e dei naturalisti che invece sciamano laggiù in primavera e in autunno per le grandi migrazioni di uccelli, doveva essere una sceneggiata, quando i fratelli Bundy, Ammon e Ryan vi entrarono il 2 gennaio con un gruppo di seguaci, mogli, figli e naturalmente cavalli. I Bundy, ranchers e miliziani anti-governativi a pieno tempo, eroi di quel mondo di fanatici che periodicamente affiorano con rivolte locali o con azioni scellerate di terrorismo come la distruzione del grattacielo di Oklahoma City da 168 vittime nel 1995, guidavano il manipolo di vaccari con cappelloni, tute militari mimetiche, armi da fuoco e bandiere che chiedeva la liberazione di altri due miliziani, gli Hammond, condannati in Nevada per incendo doloso di pasture pubbliche. Come una piccola calamita di tutta la limatura ribellistica che frulla nello spazio americano, i due Bundy aveva attirato una ventina di “desesperados” come loro in lotta contro la “tirannide” di Washington, del governo che controlla i quattro quinti dell’immensità vuota, anche per conto delle tribù e della nazioni dei nativi, come i Paiute, ai quali furono rubate.

Nel vuoto dell’Oregon settentrionale, dove la località più vicina alla riserva della Malasorte, Burns, sta a 50 chilometri con i suoi 6mila abitanti ed è considerata una metropoli, i federali e gli sceriffi avevano imposto un blando posto di blocco lungo l’unica strada che collega il paese alla baracca dei Rangers. I cowboy ribelli, lasciati i cavalli, viaggiavano sui loro pick up inzaccherati per fare la spesa a Burns, senza che le autorità li fermassero. Dovevano cercare rifornimenti, perchè i tentativi di rifornirsi per posta e per corriere e per solidarietà politica erano finiti male. O le merci non arrivavano o, come denunciò sdegnato Ammon Bundy, arrivavano consegne irridenti e offensive. Come uno scatolone di “sex toys”, di vibratori e vari attrezzi erotici, offerti da mani ignote.

La farsa è finita nella notte di martedi. La carovana dei ribelli era in viaggio verso l’unico centro per anziani di Burns per una conferenza. Al posto di blocco sulla Strada 395, il controllo di routine è degenerato. Uno dei miliziani, Robert Finicum, che fungeva da portavoce e aveva diffuso varie clip sui social network per chiedere la mobilitazione dei “veri americani” contro gli oppressori che controllano i territori del West, ha rifiutato di farsi controllare ed è divenuto riottoso e violento. Decisione, se quel che dicono le autorità è vero, quanto meno incauta, nell’ora delle armi roventi fra le mani delle polizie, molto più pazienti con i fanatici e i violenti di pelle bianca, ma non per sempre. Sono partiti colpi. Finicum è caduto, morto. Hammond è stato ferito leggermente. Otto persone sono state arrestate, fra le quali una donna e un improbabile cowboy italo-americano, Peter Santilli. In realtà un dj per una radio di Cincinnati, nel lontano Ohio, in cerca, più che di terre per mandrie che non possiede, di pubblicità per il suo show.

Nella baracca restano ormai in pochi, pronti “a morire”, dicono, ma ormai senza i loro leader. Rimane un cavaliere solitario, con giubbotto di pelle coperto da una bandiera americana sulla schiena e un’altra bandiera in cima all’asta che si esibisce in groppa al proprio cavallo trotterellando fra i fitti cespugli di saggina imbiancati dalla rugiada gelata. Chiede alla rete dei patrioti di unirsi a lui, di riununciare ai diritti di pascolo concessi da governo federale per chiedere la piena proprietà della terra. E tutto sarebbe quasi romantico, molto teneramente anacronistico e hollywoodiano, se anche qui, lungo il sentiero dell’Oregon, questi cosiddetti patrioti libertari non volessero appropriarsi di qualcosa che a loro non è mai appartenuto. La terra di altri.

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