Intellettuali di tutto il mondo non mangiate più gli animali
Intellettuali progressisti, convertitevi al veganesimo! Non potete più perseverare nella vostra etica double face. Rigorosa in materia di libertà civili e di diritti umani, ma indifferente verso gli animali e le loro sofferenze. A lanciare l’appello è stato il medico e psichiatra australiano Steve Stankevicius. Che sul magazine online “Salon”, avamposto del giornalismo d’autore, ha richiamato alle loro responsabilità i maggiori opinion leader del mondo anglosassone. In particolare gli esponenti del cosiddetto New Atheism, come il neuroscienziato Sam Harris e il biologo Richard Dawkins che, insieme al compianto Christopher Hitchens, rappresentano lo zoccolo duro, anzi durissimo, dell’intellighenzia laica americana. In realtà ad offrire il destro agli argomenti di Stankevicius è stato
proprio Sam Harris che ha compiuto un pubblico atto di resipiscenza nel corso di un episodio del podcast Waking Up. Conversando lo psicologo morale Paul Bloom su argomenti come la tortura, la caccia e altre crudeltà, si è autoaccusato di ipocrisia per il fatto di essere carnivoro.
Il che, per un sostenitore intransigente della necessità di una nuova etica pubblica improntata al rispetto e alla convivenza, è quanto meno contraddittorio. Harris lo ha ammesso senza mezzi termini aggiungendo che interrogarsi sulle conseguenze morali del proprio stile di vita è un compito cui un cittadino responsabile non può sottrarsi. Soprattutto in un mondo interconnesso come il nostro, in cui ogni scelta individuale ha delle ricadute sulla società e sull’ambiente. La confessione, si sa, è l’inizio della redenzione. E così è stato per Harris, che dopo l’outing ha annunciato di voler rinunciare ai piaceri della carne. Una svolta vegana dettata da ragioni etiche più che dietetiche. E un altro irriducibile liberal, come il biologo Richard Dawkins, si è spinto ancora più lontano. Paragonando la portata morale della lotta contro gli allevamenti intensivi a quella che due secoli or sono ebbe la battaglia contro lo schiavismo.
Forse è questo il nuovo compito del pensiero critico. Bilanciare il giusto peso dei diritti umani con quello altrettanto giusto dei diritti animali. Un passo decisivo verso l’idea di cittadinanza non-umana, che per il momento sembra una fantasia rousseauiana. Ma che in realtà lega le spinte morali e politiche che stanno dietro il vegetarianesimo contemporaneo ad alcune delle grandi correnti del pensiero e della spiritualità occidentali. Da Platone, che vedeva nel consumo eccessivo di carne la causa di guerre per l’accaparramento di terre da pascolo, una forma anticipata di land grabbing.
A Pitagora, che non ammetteva soluzione di continuità tra uomini e bestie e considerava il consumo di bistecche alla stregua del cannibalismo. Perché in entrambi i casi si mangia carne della propria carne. Fino a Plutarco, giustamente convinto che la pietà per i fratelli animali educa gli uomini alla pietà per i fratelli umani.
Ma anche il Cristianesimo delle origini faceva dell’opzione vegetariana una sorta di obiezione di coscienza alimentare. I Padri della Chiesa ipotizzavano un Eden veggie, arrivando a ristilizzare il racconto della vita e delle abitudini di Gesù per farne un modello di penitenza e di rinuncia ai piaceri della carne. È il caso degli Ebioniti – dall’ebraico ebyonim, “poveri” – che reinterpretavano il passo del Vangelo di Luca (22, 15) in cui Cristo dice «ho desiderato mangiare con voi questa Pasqua», facendolo diventare «Non ho desiderato mangiar carne con voi in questa Pasqua». E Taziano, teologo siriano del II secolo e appartenente alla setta gnostica degli Encratiti – cioè i Continenti – nel suo Diatessaron, una fusion neotestamentaria ottenuta mescolando i quattro Vangeli, faceva mangiare a Giovanni Battista solo latte e miele, censurando le proverbiali locuste. Una forzatura a fin di bene. Come quella dei Priscillianisti, un movimento molto radical fondato da Priscilliano di Avila nella Spagna del IV secolo, che attribuivano la creazione di ogni specie di carne non al Dio buono, ma agli angeli ribelli. E in fondo c’è qualcosa di priscilliano nei cosiddetti vegan- sexuals, che in nome del cruelty- free sex (sesso non violento) rifiutano partner carnivori. «Non posso pensare di baciare delle labbra che hanno toccato animali fatti a pezzi», ha detto una donna di Auckland, intervistata nel corso di una ricerca dell’Università di Canterbury e del New Zealand Centre for Human-Animal Studies, che ha analizzato un campione di vegani e vegetariani.
C’è insomma un filo millenario che va dai Pitagorici agli Gnostici, dai Catari fino ai guru neoebionisti del veganismo contemporaneo. Passando per Rousseau, Tolstoj e Gandhi. A dire il vero il liberatore dell’India non è sempre stato vegetariano. Da ragazzo era onnivoro, ma decise di darsi anima e corpo al credo erbivoro dopo aver letto The Ethics of Diet di Howard Williams, un manifesto del vegetarianesimo inteso come religione laica, ispirata al motto “Umanità, giustizia, compassione”. Una vera e propria dichiarazione dei diritti del vivente, contro l’antropocentrismo che fa dell’uomo il signore e padrone, nonché macellaio, del creato. Il libro di Williams aveva folgorato anche Tolstoj che nel 1892, a nove anni dall’uscita della prima edizione, volle tradurlo in russo. Aggiungendovi un’appassionata e visionaria introduzione. In cui sosteneva che non ci si può dire compiutamente umani se non si è capaci di un’autoanalisi etica delle proprie scelte, comprese quelle alimentari.
Una sorta di conosci te stesso finalizzato a quello che l’autore di Guerra e pace definisce “progresso morale dell’umanità”. Decise di intitolarla Il primo passo. Ed è proprio a compiere quel passo che oggi Stankevicius invita tutti gli uomini di buona volontà. Per progettare l’umanità del futuro.
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IL CLASSICO
The Ethics of Diet di Howard Williams, pubblicato nel 1883, è la bibbia del pensiero vegetariano. La sua lettura “convertì” alla causa Tolstoj e Gandhi
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