by Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera | 25 Gennaio 2016 9:57
Manifestanti pro migranti ieri nella città di Calais: chiedono l’abolizione delle frontiere, la libera circolazione delle persone e in particolare dei circa 4500 migranti ammassati nella «giungla» di Calais, la più grande bidonville di Francia
Lo Stato che vuole ripristinare temporaneamente i controlli alle frontiere dovrà concordare l’iniziativa con gli altri Paesi dell’Unione. In questo modo si creerà un tavolo di coordinamento per evitare iniziative estemporanee che mettono in difficoltà gli altri partner e rischiano di far saltare l’intero sistema. L’ultimo tentativo per tenere in vita il Trattato di Schengen passa dalla proposta, informale, che sarà formulata oggi da Italia e Germania. Al Consiglio dei ministri dell’Interno che si svolge ad Amsterdam, si cercherà una mediazione con chi difende la «linea dura» ponendo come priorità la «blindatura» dei confini esterni. L’alternativa, se non si riuscirà a trovare una soluzione, è la sospensione per due anni dell’accordo sulla libera circolazione. Una possibilità che Roma cerca in ogni modo di contrastare fidando proprio sull’appoggio di Berlino, visto che due giorni fa è stato il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, a dire che «distruggere il sistema Schengen vuol dire mettere l’Europa drammaticamente in pericolo, dal punto di vista politico ed economico». Il pericolo è fin troppo evidente: un’invasione sulle nostre coste con l’apertura di nuove rotte dall’Albania e dal Montenegro e una nuova impennata dalla Libia. I segnali sono già inquietanti: negli ultimi tre giorni sono sbarcati più di mille migranti. Anche il 2016 si annuncia come un anno drammatico per la gestione dei flussi migratori e il blocco di alcuni Stati può stringere l’Italia in una vera e propria morsa.
L’asse del Nord
Danimarca, Austria e Svezia hanno già chiuso i confini con un provvedimento unilaterale provvisorio e, con l’appoggio di Polonia e Ungheria, insisteranno per una sospensione di Schengen per almeno due anni. A maggio i controlli alle loro frontiere dovranno infatti essere interrotti e questo ha alimentato l’ipotesi che vogliano creare una sorta di mini Schengen alla quale parteciperebbero la Germania (che ha preso un provvedimento analogo giustificandolo come necessario di fronte alle iniziative dei Paesi confinanti) e il Belgio, anche se gli analisti sono scettici e ritengono si tratti esclusivamente di una forma di pressione nei confronti di Italia e Grecia affinché rendano operativi i centri di identificazione, i cosiddetti «hotspot» sui quali la cancelliera Angela Merkel ha ribadito di voler «prestare attenzione». Ieri il commissario europeo alle Migrazioni, Dimitris Avramopoulos, ha smentito in maniera categorica — «non esiste alcun piano di questo tipo» — l’ipotesi anticipata dal Financial Times di una estromissione di Atene dall’area Schengen e il ministro degli Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier, ha rincarato la dose: «Le soluzioni come l’esclusione di alcuni Stati non risolvono nulla». Una posizione sostenuta dai socialisti europei con il presidente del gruppo al Parlamento europeo, Gianni Pittella, che sottolinea come «qualsiasi ipotesi di mini Schengen o di isolamento della Grecia è assolutamente inaccettabile. Invece di velleitarie scorciatoie solitarie gli Stati membri mettano in pratica le decisioni del Consiglio. È l’unico modo per salvare l’Europa da se stessa».
L’appoggio dell’Onu
Sono diverse le questioni all’ordine del giorno di oggi e tra le principali c’è quella riguardante l’accordo di Dublino con il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, che chiederà nuovamente la modifica di quella norma che obbliga i richiedenti asilo a registrarsi nel Paese di primo ingresso. L’obiettivo è infatti una distribuzione equa all’interno dell’Unione e uno snellimento delle procedure di registrazione. «Noi stiamo facendo la nostra parte — sottolinea il viceministro dell’Interno, Filippo Bubbico — e per questo ci auguriamo che non prevalgano gli egoismi nazionali. Se dovesse cadere il trattato di Schengen saremmo costretti a rivolgerci all’Onu visto che noi abbiamo la responsabilità della difesa del Mediterraneo. Importante è trovare un’intesa su tutti i punti in discussione, tenendo conto che anche sugli hotspot abbiamo rispettato tutte le richieste». Con il via libera alle sue istanze, l’Italia potrebbe a sua volta versare la propria quota per il finanziamento di tre miliardi alla Turchia dove, dall’inizio del conflitto, sono già transitati due milioni di siriani. Si tratta di 280 milioni di euro che dovrebbero però essere scomputati dalla legge di Stabilità, come si è impegnato a fare la scorsa settimana il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, nel pieno dello scontro tra Italia e Ue sui migranti, ma anche su tutti gli altri temi in agenda, con un’attenzione particolare ai provvedimenti sulle banche, e sulla flessibilità.
Fiorenza Sarzanini
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