L’ultimo cineasta della generazione del «noi»

by Giovanna Branca, il manifesto | 21 Gennaio 2016 10:29

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Voleva essere ricordato alla Casa del Cinema di Roma Ettore Scola, «come se fosse una festa». E così da stamattina sarà lì la camera ardente dove amici, parenti e colleghi potranno salutare «l’ultimo dei grandi della Commedia all’Italiana», come lo definisce l’amico e collaboratore Giacomo Scarpelli, che con lui ha scritto La cena, Romanzo di un giovane poveroConcorrenza sleale, quest’ultimo sceneggiato anche insieme al padre Furio, un altro dei padri della commedia all’italiana che con Scola ha lavorato a film come C’eravamo tanto amati o La terrazza.
«È stato il maestro di tutti noi, tutti gli dobbiamo qualcosa», ha infatti detto Carlo Verdone del regista e sceneggiatore, il cui ultimo film risale appena a tre anni fa, quando a Venezia era stato presentato fuori concorso Che strano chiamarsi Federico, il suo omaggio al collega Fellini.

Tutto era iniziato sulle pagine del Marc’Aurelio, che aveva riunito tante delle future penne e registi della commedia all’italiana e dove è avvenuta la conoscenza fra il regista di Una giornata particolare con un altro grande nome di quella famiglia allargata: Steno. Suo figlio, Enrico Vanzina, ricorda infatti che i due «sono stati molto amici per tutta la vita», e che Scola «aveva una piccola venerazione per papà come umorista».
«Ettore — continua Vanzina — è entrato molto presto a casa nostra, quando noi eravamo piccolissimi: faceva lo sceneggiatore aggiunto di Un americano a Romae veniva a scrivere con nostro padre, per cui la nostra è un’amicizia che parte da lontanissimo».

«Era veramente l’ultimo di quel mondo, di quella generazione», ha osservato Sergio Castellitto, protagonista insieme a Diego Abatantuono di Concorrenza sleale. «È stato il mio maestro, forse la figura più importante della mia vita al cinema».
Sofia Loren, invece, ha affermato di essergli grata: « Mi ha regalato la possibilità di interpretare un film straordinario che amo molto: Una giornata particolare al fianco di Marcello Mastroianni».
Ultimamente, racconta Giacomo Scarpelli, Scola «aveva assunto un ironico distacco dalla vita intorno a sé, la guardava in modo sorridente, come chi in fondo è soddisfatto di tutto ciò che ha vissuto, di quello che ha avuto e soprattutto di ciò che ha dato. Allo stesso tempo ha mantenuto un’attenzione partecipe: la matrice era sempre quella della concentrazione sulla realtà che ci sta intorno per poi reinterpretarla e reinventarla con ironia, divertimento e parodia». La musa di quel cinema, Stefania Sandrelli, sottolinea ciò che Scola le ha trasmesso: «La meraviglia della collaborazione nel nostro lavoro, della condivisione, del sostegno, il privilegio e la magia di fare le cose insieme. Avesse dovuto scegliere una parola su tutte, questa parola sarebbe stata ‘noi’».

E lo stesso mette in evidenza Scarpelli: «Apparteneva a una generazione di cineasti che non usavano l’ ’io’, ma il ’noi’. Lavoravano insieme, ed erano abituati a farlo tenendosi un passo indietro rispetto alle storie che raccontavano. Valeva per lui come per tanti altri: Monicelli, mio padre, Age. È il principio di Flaubert: un autore è tutto nelle proprie opere, addirittura deve dare l’idea di non essere mai esistito. Così da un lato abbiamo le opere di Ettore, con cui continueremo a giudicarlo positivamente perché ha raccontato la storia d’Italia, e dall’altro ciò che era umanamente, come amico, come persona. In questi ultimi anni dopo che è morto mio padre lui è rimasto il mio punto di riferimento. Gli ho voluto molto bene».

Scola è morto la sera del 19 gennaio, a 84 anni, al Policlinico di Roma dove era ricoverato.

Enrico Vanzina ricorda che lui e il fratello Carlo hanno ricevuto la sua ultima telefonata a Natale, per gli auguri: «ci ha fatto molto effetto, perché non lo faceva mai. Non chiamava per fare smancerie. È una cosa che mi commuove molto, perché adesso abbiamo proprio la sensazione che fosse una telefonata per darci l’ultimo saluto».

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