by Leonardo Clausi, il manifesto | 21 Gennaio 2016 10:12
La gestione del flusso migratorio in Europa sta causando più di un problema all’equilibrismo con cui David Cameron cerca di impostare le proprie richieste di rinegoziazione della partecipazione della Gran Bretagna all’Unione Europea, e potrebbe finire per anticipare la data del referendum sulla cosiddetta Brexit, l’uscita definitiva del paese dall’Unione. Bruxelles intende infatti eliminare, con una proposta che sarà presentata in primavera, la norma che obbliga i migranti a cercare asilo nel primo paese in cui arrivano, grazie indirettamente al quale la Gran Bretagna rispedisce circa un migliaio di profughi l’anno.
Si tratta di un riequilibrio sociale e geografico dei doveri di accoglienza, che li ridistribuisce in modo più conforme a direttrici di flusso che si muovono tradizionalmente da sud a nord dell’Europa e che vedono la Gran Bretagna come destinazione ambita ed ideale per migliaia di persone. Molte delle quali rispedite a casa finora proprio grazie a detto regolamento, detto di Dublino perché ivi ratificato nel 1990 (ed entrato in vigore nel 1997).
La norma sarà cancellata perché in realtà quasi mai applicata, visto l’enorme influsso migratorio sulle spiagge italiane e greche che poi prosegue via terra sempre verso i paesi del nord. Fu la Germania di Angela Merkel (la stessa Merkel ha definito le regole «obsolete») la prima a trascurarne i divieti, quando consentì libero ingresso a migliaia di profughi siriani lo scorso settembre, mettendone così drammaticamente a nudo l’inadeguatezza, peraltro già ampiamente evidenziata dalla condizione geomorfologica di Italia e Grecia, paesi con chilometri di coste impossibili da monitorare. Ma quello che Juncker vede forse come un approccio più realistico alla drammatica questione di masse enormi di persone in marci a verso un futuro senza guerra, fame e disperazione, per il governo conservatore britannico in carica significa il crollo del più solido argomento con cui cercare di vendere agli euroscettici dentro e fuori del partito i vantaggi di una permanenza riformata nel consesso europeo: la possibilità di rispedire al mittente i profughi indesiderati, appunto. Insomma, il timore è che i rifugiati già approdati su suolo britannico possano godere del diritto a rimanere, incoraggiando evidentemente molti altri a fare altrettanto.
L’indiscrezione su questo cambio di passo è stata pubblicata dal Financial Times, secondo cui il piano sarà presentato alla commissione a marzo, obbligando così David Cameron — la cui mancata stretta sugli ingressi dei migranti nel paese rappresenta forse il più imbarazzante degli obiettivi sbandierati e mai raggiunti dal manifesto elettorale dei Tories – a una frenetica serie di incontri all’imminente World Economic Forum di Davos con varie contro parti europee, in una controffensiva diplomatica che dovrebbe garantire la rinegoziazione della partecipazione britannica che possa poi permettergli di fare una campagna referendaria apertamente schierata a favore della permanenza.
L’obiettivo di Cameron è di presentare il pacchetto di richieste britanniche in tempo per il prossimo 18 febbraio, quando si terrà a Bruxelles il prossimo vertice della Ue. Se la scadenza non fosse rispettata, il suo programma di indire il referendum il prossimo giugno ne risulterebbe vanificato. La notizia rappresenta anche un’ovvia arma in più nell’arsenale della campagna per l’uscita dall’Eu, denominata «Vote Leave».
Dal canto loro, tra i funzionari europei è diffusa l’opinione che fosse necessario cestinare Dublino per salvare Schengen, un altro trattato senza il quale, stavolta, è il progetto euro-europeo in se stesso a vacillare vistosamente.
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