Massacro all’università in Pakistan Raffiche dei talebani su prof e studenti
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Colpire la società civile nelle sue istituzioni laiche, spaventare chi resiste, piegare i bastioni della cultura democratica, instillare un clima di terrore e insicurezza generalizzato. È la strategia prevalente tra le organizzazioni jihadiste nell’universo islamico. Lo riprova l’attentato di ieri contro il campus della Bacha Khan, l’università posta nella cittadina di Charsadda, una trentina di chilometri da Peshawar, nel cuore del Pakistan nord-occidentale pashtun roccaforte dei gruppi filo-talebani strettamente connessi con la guerriglia in Afghanistan. Erano circa le nove e mezza di mattina quando almeno quattro terroristi ben armati hanno approfittato della fitta nebbia, che spesso d’inverno ristagna in quelle regioni, per scavalcare il muro di cinta e fare irruzione verso i dormitori e gli edifici amministrativi.
«Avevano i mitra spianati. Hanno cominciato a sparare all’impazzata contro chiunque. Per fortuna sono intervenute rapidamente le guardie di sicurezza che hanno ingaggiato una battaglia durata quasi tre ore», raccontano gli studenti sopravvissuti. Verso mezzogiorno il bilancio delle vittime è pesante: tra 20 e 25 morti, quasi tutti giovani studenti colpiti al petto e alla testa, oltre agli attentatori e ad una ventina di feriti. Grave. Ma poteva andare molto peggio.
Circa 3 mila studenti sono iscritti alla Bacha Khan, lo stesso nome di un celebre eroe del nazionalismo laico pachistano deceduto nel 1988 e legato al movimento non violento di Gandhi. Inoltre, ieri era atteso l’afflusso di numerosi ospiti esterni in occasione del festival di poesia a metà mattinata. «La nebbia ha aiutato i terroristi ad entrare, però poi li ha confusi una volta che si sono ritrovati a correre nel campus», segnalano i media locali. I testimoni sono tuttavia unanimi nel sottolineare che è stato il tempestivo intervento delle forze di sicurezza ad evitare un massacro simile a quello di oltre 150 studenti nella scuola per i figli dei quadri militari a Peshawar nel dicembre 2014. Da allora la maggioranza delle scuole, specie nelle regioni a rischio talebani, si sono dotate di guardie armate e addestrate. Ieri decine di loro hanno ingaggiato gli aggressori ritardandoli e facilitando l’arrivo di rinforzi da una vicina caserma.
Il premier Nawaz Sharif promette un’intensificazione degli sforzi per «spazzare via la minaccia terroristica dalla nostra patria». La reazione talebana riflette invece profonde divisioni interne e la crescita delle fazioni più estremiste. Se da una parte infatti Mohammad Khourashan, portavoce della corrente più «istituzionale» legata al Mullah Fazlullah, condanna il blitz come «non islamico», dall’altra un personaggio del peso di Umar Mansoor, responsabile dell’attacco alla scuola di Peshawar tredici mesi fa, ne rivendica appieno la paternità. Gli estremisti sono d’altronde aiutati dal crescente attivismo dei talebani radicali in Afghanistan. I territori sotto il loro controllo sono in espansione. Ieri con un’autobomba hanno assassinato sette giornalisti della nota televisione Tolo (la più importante del Paese) nel centro di Kabul.
Un’azione che torna a lanciare un segnale di allarme sul futuro incerto della democrazia afghana.
Lorenzo Cremonesi
«Avevano i mitra spianati. Hanno cominciato a sparare all’impazzata contro chiunque. Per fortuna sono intervenute rapidamente le guardie di sicurezza che hanno ingaggiato una battaglia durata quasi tre ore», raccontano gli studenti sopravvissuti. Verso mezzogiorno il bilancio delle vittime è pesante: tra 20 e 25 morti, quasi tutti giovani studenti colpiti al petto e alla testa, oltre agli attentatori e ad una ventina di feriti. Grave. Ma poteva andare molto peggio.
Circa 3 mila studenti sono iscritti alla Bacha Khan, lo stesso nome di un celebre eroe del nazionalismo laico pachistano deceduto nel 1988 e legato al movimento non violento di Gandhi. Inoltre, ieri era atteso l’afflusso di numerosi ospiti esterni in occasione del festival di poesia a metà mattinata. «La nebbia ha aiutato i terroristi ad entrare, però poi li ha confusi una volta che si sono ritrovati a correre nel campus», segnalano i media locali. I testimoni sono tuttavia unanimi nel sottolineare che è stato il tempestivo intervento delle forze di sicurezza ad evitare un massacro simile a quello di oltre 150 studenti nella scuola per i figli dei quadri militari a Peshawar nel dicembre 2014. Da allora la maggioranza delle scuole, specie nelle regioni a rischio talebani, si sono dotate di guardie armate e addestrate. Ieri decine di loro hanno ingaggiato gli aggressori ritardandoli e facilitando l’arrivo di rinforzi da una vicina caserma.
Il premier Nawaz Sharif promette un’intensificazione degli sforzi per «spazzare via la minaccia terroristica dalla nostra patria». La reazione talebana riflette invece profonde divisioni interne e la crescita delle fazioni più estremiste. Se da una parte infatti Mohammad Khourashan, portavoce della corrente più «istituzionale» legata al Mullah Fazlullah, condanna il blitz come «non islamico», dall’altra un personaggio del peso di Umar Mansoor, responsabile dell’attacco alla scuola di Peshawar tredici mesi fa, ne rivendica appieno la paternità. Gli estremisti sono d’altronde aiutati dal crescente attivismo dei talebani radicali in Afghanistan. I territori sotto il loro controllo sono in espansione. Ieri con un’autobomba hanno assassinato sette giornalisti della nota televisione Tolo (la più importante del Paese) nel centro di Kabul.
Un’azione che torna a lanciare un segnale di allarme sul futuro incerto della democrazia afghana.
Lorenzo Cremonesi
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campus di Bacha Khanguerra in AfghanistanMohammad KhourashanNawaz SharifPakistantalebaniUmar MansoorRelated Articles
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