A Istanbul svuotata dalla paura Il kamikaze aveva chiesto asilo “Ma il nostro nemico è Putin”
ISTANBUL. VUOTA, spettrale. Ferita nella piazza simbolo dell’Impero Ottomano e, di colpo, sgombra di turisti, nel freddo di gennaio la metropoli si riflette sulle acque di un Bosforo livido, sul quale la distanza fra Asia e Europa appare oggi ancora più grande. Mai vista Istanbul così. Colpita al cuore come nemmeno il terremoto del 1999 aveva potuto. Voli mezzi vuoti dall’Europa, se non cancellati o dirottati altrove. L’aeroporto internazionale Ataturk sembra un deserto. Dal volo della Turkish Airlines proveniente dall’Italia solo due passeggeri si dirigono verso l’uscita, e uno di loro è un locale. Tutti gli altri sono viaggiatori in transito. La folla di questuanti, tassisti, procacciatori d’hotel che di solito sommerge il visitatore al varco è ora ridotta a un piccolo muro di visi increduli per la penuria improvvisa. Le hall degli alberghi sono lande desolate, dove gli affittacamere rispondono alla domanda sul flusso quotidiano di stranieri in arrivo con due parole che alternano, e significano la stessa cosa: «Cancellazioni» e «disdette». Cioè, turismo in ginocchio. A Piazza Sultanahmet, il cuore del quadrilatero magico composto da Moschea blu, Topkapi, Museo di Santa Sofia e Cisterna, circolano solo visitatori giapponesi, che alle tv turche ripetono quanto sia bella la Turchia. Bella sì. E impaurita. E pericolosa anche, fino a quando il suo governo non si deciderà a spazzare dai propri confini i troppi militanti del Califfato nero, e a spezzare le proprie ambiguità su tutti i fronti aperti: diritti umani, libertà di stampa, rispetto delle altre confessioni, tanto per cominciare. E poi rapporti chiari con Europa, Russia, Israele, ognuno un nodo da risolvere.
I 10 turisti uccisi dal kamikaze che si è fatto saltare in aria l’altra mattina davanti all’Obelisco di Teodosio erano tutti tedeschi, infine. Sembra che abbia colpito a caso, fa capire il ministro dell’Interno tedesco, Thomas de Maziere, spiegando che non vi sono indizi che li indichino come l’obiettivo specifico dell’attentato. Strano, però. E comunque il dato non cambia: dieci turisti tedeschi saltati in aria nel cuore di Istanbul a opera del Califfato nero.
L’attentatore, ha rivelato ieri il premier turco Ahmet Davutoglu, non solo era un jihadista, di nome Nabil Fadli, cittadino siriano e nato in Arabia Saudita, ma aveva varcato la frontiera come migrante. Dunque, il 5 gennaio ha chiesto asilo politico alla Turchia, e poi l’ha colpita al cuore facendosi saltare in aria nella piazza dove, ricorda Serif, un accompagnatore, «tutti i turisti stranieri chiedono di andare». Fadli, 28 anni, si era presentato a Istanbul in un centro di accoglienza per profughi, accompagnato da altre quattro persone, e da procedura gli erano state prese le impronte digitali. Non era tenuto sotto sorveglianza come ricercato. Un «comune migrante», lo ha descritto il primo ministro.
Le autorità non parlano ovviamente dei lunghi anni in cui hanno dato corda ai militanti della jihad, con lo scopo di usarli per abbattere il regime di Assad in Siria, e con la Turchia ridotta ad «autostrada della guerra santa» per come era attraversata in largo e in lungo pure dai fanatici partiti dall’Europa. Evocano però «mandanti» e «attori segreti ». Il Califfato potrebbe essere solo «una pedina» nell’attentato a Sultanahmet, dice Davutoglu, che parla di «attori segreti dietro l’attacco» i quali avrebbero usato il cosiddetto Stato Islamico come “subappaltatore”. Più esplicito il quotidiano filogovernativo Star, con l’apertura della sua prima pagina a caratteri cubitali e una foto: «Il sospettato è Putin». Il presidente russo, accusato di tramare con organizzazioni terroristiche attive nella regione assieme al presidente siriano Bashar Assad e all’Iran. Amicizie che secondo il giornale legherebbero Mosca anche ai curdi del Pkk.
I curdi del Partito dei lavoratori del Kurdistan vengono ritenuti sempre la minaccia primaria, rispetto al Califfato nero. E difatti i bombardamenti delle loro basi sulle montagne nel nord dell’Iraq sono ripresi ieri. Altri quattro arresti sull’attentato suicida di Sultanahmet sono stati fatti nella giornata. «Si tratta di persone legate allo Stato Islamico ». In tutto sono così 69 le persone in carcere considerate come affiliate allo Stato jihadista. Fra loro pure tre russi, fermati ad Antalya e accusati di aver fornito sostegno logistico all’organizzazione. Di questi 69 arrestati, però, solo uno è sospettato di essere coinvolto nella strage di Istanbul.
A guardare le tv turche, nonostante il silenzio stampa imposto dal tribunale sulla vicenda, tutte quante affrontano dibattiti sull’accaduto. Non si ricevono però Cnn e Bbc, da anni aspramente criticate dal governo conservatore di ispirazione religiosa. D’improvviso, sembrano saltati anche i canali informativi tedeschi. In compenso, le reti arabe si prendono benissimo.
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