Fiori e arresti, Istanbul blindata «Il killer era arrivato come profugo»
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ISTANBUL L’esplosione ha letteralmente smembrato e ridotto a pezzettini il corpo del kamikaze, che martedì mattina ha ucciso dieci turisti e ferito altri quindici, quasi tutti tedeschi. Gli agenti della scientifica turca lo avrebbero comunque egualmente identificato grazie ai monconi delle dita ritrovati sul luogo dell’attentato. Il premier Ahmet Davutoglu ha aggiunto ieri nuovi particolari alle rivelazioni che aveva già fatto martedì sera. Si tratterebbe di Nabil Fadli, nato in Arabia Saudita nel 1988, di recente vissuto in Siria, molto probabilmente militando tra i ranghi di Isis, e quindi arrivato in Turchia come profugo. Un centro di accoglienza per migranti, a Istanbul lungo il Bosforo, ha registrato la sua richiesta di asilo il 5 gennaio. Come per tutti, sono state rilevate le sue impronte digitali. Da qui il riconoscimento. Con lui c’erano altri quattro giovani. Che siano altrettanti potenziali attentatori? La domanda è legittima e giustifica lo stato d’allarme che adesso prevale in Turchia.
A Istanbul la polizia è onnipresente sui luoghi turistici, di fronte agli edifici pubblici, in particolare all’entrata di grandi alberghi, stazioni degli autobus e aeroporti. «Mai stati così controllati. Ci sono ora più agenti in borghese che visitatori. Forse sarebbe stato meglio ci fossero prima», sostengono tra l’ironico e lo scettico nei ristorantini e negozietti che attorniano Sultanahmet, non lontano dal cosiddetto Obelisco di Teodosio, dove è avvenuto il massacro. I media locali offrono il quadro di una massiccia caccia all’uomo. Ai 59 arrestati di martedì, ieri se ne sono aggiunti un’altra quindicina, di cui almeno quattro indicati come militanti inequivocabili di Isis. In tutto dunque ben oltre 70: non è chiaro quanti siano stati rilasciati. E le operazioni delle forze sicurezza avvengono a ventaglio in tutto il Paese. Perquisizioni e fermi ad Ankara, dove pare fosse imminente un attentato, ma anche a Smirne, Salinurfa, Adana e soprattutto nei centri urbani e le regioni lungo i 1.000 chilometri di confine con la Siria. Uno dei villaggi più delicati resta Kilis, che sino a pochi mesi fa era un vero e proprio passaggio di frontiera con tanto di timbri che dalla Turchia permetteva di raggiungere Aleppo attraverso i posti di blocco controllati da Isis. Ad Antalya, la cittadina costiera nota per le spiagge e gli stabilimenti balneari molto gettonata tra le agenzie viaggio di Mosca, sono stati arrestati anche tre cittadini russi. Potrebbero essere ceceni, o comunque provenienti dalle province a maggioranza islamica (sono circa 3.000 i russi militanti con Isis tra Siria e Iraq). Una mossa che pare comunque creare poche preoccupazioni tra i rari turisti russi ancora nel Paese dopo le recenti tensioni tra Ankara e Mosca. «Una volta il nostro presidente Putin e quello turco Erdogan erano amici per la pelle. Poi hanno cominciato a spararsi contro. Sono due autoritari con poco senso delle proporzioni. Se sono diventati nemici tanto velocemente, con altrettanta facilità potrebbero tornare a cooperare. In ogni caso, non è un buon motivo per rovinare le nostre vacanze», dicono Tatiana Apt, 68 anni, e il marito Alexander, 65, due pensionati moscoviti incontrati presso la biglietteria della moschea di Agia Sofia.
La visita ieri sul luogo dell’attentato da parte del ministro degli Interni tedesco Thomas de Maizière è stata l’occasione per rinsaldare il già solido rapporto tra Ankara e Berlino. Una relazione antica quella turco-tedesca, ultimamente corroborata dai fondi europei voluti da Angela Merkel per aiutare il governo Erdogan a far fronte all’emergenza migranti e limitarne il flusso verso l’Europa. Il ministro degli Interni turco, Efkan Ala, ha approfittato della conferenza stampa col tedesco per ribadire le difficoltà del suo Paese costretto a far fronte alla cifra di due milioni e mezzo di profughi siriani dal 2011. «Il terrorista suicida non era su alcuna lista di ricercati locale o internazionale, ma era stato registrato da noi come immigrato», ha ribadito, specificando che negli ultimi giorni ben 36.000 persone provenienti da 124 Paesi hanno fatto richiesta di asilo in Turchia.
Lorenzo Cremonesi
A Istanbul la polizia è onnipresente sui luoghi turistici, di fronte agli edifici pubblici, in particolare all’entrata di grandi alberghi, stazioni degli autobus e aeroporti. «Mai stati così controllati. Ci sono ora più agenti in borghese che visitatori. Forse sarebbe stato meglio ci fossero prima», sostengono tra l’ironico e lo scettico nei ristorantini e negozietti che attorniano Sultanahmet, non lontano dal cosiddetto Obelisco di Teodosio, dove è avvenuto il massacro. I media locali offrono il quadro di una massiccia caccia all’uomo. Ai 59 arrestati di martedì, ieri se ne sono aggiunti un’altra quindicina, di cui almeno quattro indicati come militanti inequivocabili di Isis. In tutto dunque ben oltre 70: non è chiaro quanti siano stati rilasciati. E le operazioni delle forze sicurezza avvengono a ventaglio in tutto il Paese. Perquisizioni e fermi ad Ankara, dove pare fosse imminente un attentato, ma anche a Smirne, Salinurfa, Adana e soprattutto nei centri urbani e le regioni lungo i 1.000 chilometri di confine con la Siria. Uno dei villaggi più delicati resta Kilis, che sino a pochi mesi fa era un vero e proprio passaggio di frontiera con tanto di timbri che dalla Turchia permetteva di raggiungere Aleppo attraverso i posti di blocco controllati da Isis. Ad Antalya, la cittadina costiera nota per le spiagge e gli stabilimenti balneari molto gettonata tra le agenzie viaggio di Mosca, sono stati arrestati anche tre cittadini russi. Potrebbero essere ceceni, o comunque provenienti dalle province a maggioranza islamica (sono circa 3.000 i russi militanti con Isis tra Siria e Iraq). Una mossa che pare comunque creare poche preoccupazioni tra i rari turisti russi ancora nel Paese dopo le recenti tensioni tra Ankara e Mosca. «Una volta il nostro presidente Putin e quello turco Erdogan erano amici per la pelle. Poi hanno cominciato a spararsi contro. Sono due autoritari con poco senso delle proporzioni. Se sono diventati nemici tanto velocemente, con altrettanta facilità potrebbero tornare a cooperare. In ogni caso, non è un buon motivo per rovinare le nostre vacanze», dicono Tatiana Apt, 68 anni, e il marito Alexander, 65, due pensionati moscoviti incontrati presso la biglietteria della moschea di Agia Sofia.
La visita ieri sul luogo dell’attentato da parte del ministro degli Interni tedesco Thomas de Maizière è stata l’occasione per rinsaldare il già solido rapporto tra Ankara e Berlino. Una relazione antica quella turco-tedesca, ultimamente corroborata dai fondi europei voluti da Angela Merkel per aiutare il governo Erdogan a far fronte all’emergenza migranti e limitarne il flusso verso l’Europa. Il ministro degli Interni turco, Efkan Ala, ha approfittato della conferenza stampa col tedesco per ribadire le difficoltà del suo Paese costretto a far fronte alla cifra di due milioni e mezzo di profughi siriani dal 2011. «Il terrorista suicida non era su alcuna lista di ricercati locale o internazionale, ma era stato registrato da noi come immigrato», ha ribadito, specificando che negli ultimi giorni ben 36.000 persone provenienti da 124 Paesi hanno fatto richiesta di asilo in Turchia.
Lorenzo Cremonesi
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