Nord Stream, un ruolo italiano nel gasdotto tra Russia e Germania

Nord Stream, un ruolo italiano nel gasdotto tra Russia e Germania

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ROMA L’Italia chiede una fetta del Nord Stream, il gasdotto che collega la Russia alla Germania, attraversando il golfo di Finlandia e bypassando i Paesi baltici e la Polonia. Simbolo delle relazioni di ferro, commerciali ed economiche, fra Berlino e Mosca; secondo Renzi e i Paesi dell’Est, in primo luogo l’Ucraina, simbolo anche di una certa doppiezza, o ipocrisia, della Germania (da un lato promuove le sanzioni contro i russi, dall’altro ci fa affari) il Nord Stream deve essere nei prossimi anni raddoppiato con un investimento di circa 11 miliardi di euro.
La notizia dell’interesse italiano è trapelata ieri a Roma dopo i colloqui di due giorni fa fra Italia e Russia. Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha ricevuto alla Farnesina il vice premier russo, Arkady Dvorkovich. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha avuto un lungo colloquio con il presid ente russo, Vladimir Putin, al termine del quale sia Palazzo Chigi che il Cremlino hanno diffuso una nota che rimarcava il settore energetico come chiave di volta dello sviluppo delle relazioni fra i due Paesi.
L’Italia chiede una maggiore partecipazione delle proprie imprese al progetto di raddoppio del gasdotto, progetto che da qui al 2019 porterebbe a quattro i tubi che scorrono in fondo al mare, a largo delle coste polacche, e che sarebbe in grado di veicolare, a pieno regime, sino a 110 miliardi di metri cubi di gas in Europa.
Il progetto di raddoppio del gasdotto Nord Stream, che è sotto la lente delle autorità europee, era finito nel mirino di Renzi all’ultimo Consiglio, a dicembre. Il nostro premier aveva sollevato («e solo Olanda e Germania non erano d’accordo») il problema di un presunto doppio standard nel trattamento di Bruxelles verso i progetti di approvvigionamento energetico: capace in sostanza di far fallire South Stream, in cui la nostra Eni era capofila insieme a Gazprom, ma capace anche di non dire nulla se, «alla chetichella», ancora espressione di Renzi, veniva deciso di raddoppiare Nord Stream.
Alla luce di allora quella del premier sembra una partita con più mosse: ha denunciato a Bruxelles le presunte ipocrisie di Berlino, ora chiede a Mosca un appoggio per entrare in modo significativo nel progetto. Se solo attraverso il sistema degli appalti e dei subappalti, o se anche attraverso un ingresso formale di nostre aziende nel consorzio (per metà russo, per l’altra metà tedesco, olandese, austriaco e francese) è ancora presto per dirlo.
Putin e le autorità russe avrebbero garantito che faranno il massimo possibile per assecondare aspettative che a Mosca vengono ritenute legittime, ma che certamente interessano altri equilibri. Nord Stream nasce su un asse russo-tedesco, di fatto tutti i contratti stipulati, e la natura giuridica dei consorzi, danno all’azienda Gazprom una considerevole influenza sugli altri attori: Gazprom è proprietaria del gas, sarà solo lei che lo venderà direttamente alle società europee, anche ai partner del consorzio Nord Stream. La selezione dei clienti sarà dunque appannaggio della società russa.
Ma non c’è dubbio che per una partecipazione significativa dell’Italia dovrebbe dire di sì anche la cancelliera Angela Merkel, con la quale proprio Renzi dovrebbe avere un incontro a Berlino nelle prossime settimane. Esistono dei precedenti: proprio in South Stream, poi fallito, la Francia entrò con una quota solo in secondo tempo. Gli austriaci di Omv sono entrati in Nord Stream solo dopo tedeschi e olandesi.
Il raddoppio di Nord Stream presuppone che le indagini anti-monopolio della Commissione europea finiranno in un nulla di fatto. Di fatto trasformerà la Germania in un centro di transito e di distribuzione del gas russo per gran parte del mercato del gas naturale in Europa occidentale. Minaccia di rendere secondario il sistema di transito del gas attraverso l’Ucraina. L’effetto è indubbiamente l’indebolimento dell’Ucraina: una contraddizione politica, visto che Bruxelles sostiene Kiev, finora ignorata ai piani alti della Ue.

Marco Galluzzo



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