“Finirai sottoterra” Ma il pm archivia “Solo una lezione di vita carceraria”

by CATERINA PASOLINI, la Repubblica | 9 Gennaio 2016 18:05

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«Come ti porto, ti posso far sotterrare. Qui comandiamo noi, né avvocati né giudici, comandiamo noi!». Sono frasi agghiaccianti quelle pronunciate dagli agenti del penitenziario di Parma e registrate su un nastro da Rachid Assarag, detenuto quarantenne marocchino che aveva denunciato più volte, inutilmente, episodi di violenza. Ma al sostituto procuratore di Parma Emanuela Podda queste parole, «seppur inquietanti, paiono lezioni di vita carceraria, più che minacce e affermazioni di supremazia assoluta o negazione dei diritti, visto che la guardia dice di non aver mai usato violenza e Assarag conferma ». Il pm, che scrive di accuse smentite dalle indagini, ha così chiesto l’archiviazione del procedimento contro dieci agenti penitenziari, finiti sotto accusa dopo la pubblicazione di quei nastri raccolti dall’associazione “A Buon diritto”. Nastri che hanno spinto anche il ministero della Giustizia ad aprire un’indagine.
La richiesta di archiviazione gela Fabio Anselmo, avvocato di Rachid Assarag, ieri in aula con il suo cliente per un nuovo processo a Firenze. «È inaccettabile, dov’è finito lo Stato di diritto? In quei nastri gli agenti minacciano, si parla di botte, di sangue, di medici che pur sapendo non denunciano per paura di ritorsioni, di detenuti che si feriscono pur di non farsi picchiare. Sembra proprio che non vogliano farlo più uscire vivo dal carcere. I magistrati avrebbero dovuto fare nuove indagini, intercettazioni ambientali. E invece nulla, ora lui ha paura per la sua incolumità». Parla come un fiume in piena l’avvocato mentre ha accanto Rachid, seduto sulla sedia a rotelle, stremato dopo lo sciopero della fame che gli ha fatto perdere 18 chili, stanco dopo il viaggio dal carcere di Torino, dove ora è rinchiuso. È l’undicesimo penitenziario dalla condanna per violenze sessuali nel 2009. Sei anni di trasferimenti segnati da denunce di minacce e violenze, di agenti che da nord a sud parlano come malavitosi «di botte che ti saranno utili perché tanto qui dentro la costituzione non vale». Di guardie che insistono nel minacciare perché «otteniamo risultati soltanto col bastone, per questo vi picchiamo ». E se gli si chiede perché non hanno impedito un pestaggio rispondono ridendo: «Fermarlo? Semmai lo aiutavo. Vengo e te ne do altre».
Storia di un inferno dietro le sbarre cominciato per Rachid nel carcere di Parma nel 2010 dove, racconta, in quattro guardie lo seviziano con una stampella a cui si appoggia per camminare. Denuncia, non viene creduto e per lui comincia il tour dei trasferimenti accompagnati da denunce di violenza che non portano a nulla, mentre inizia a registrare tutto con l’aiuto della moglie italiana. E sono voci dal carcere: di agenti e medici, operatori e magistrati. Di detenuti. Voci rimaste inascoltate. Come le richieste di aiuto. In una intercettazione Assarag chiede ad un medico di Parma che testimoni le violenze nei suoi confronti. Ma la risposta non dà speranza. «Non posso perché mi fanno il c… I sanitari hanno l‘obbligo di denunciare ma se io faccio una cosa del genere mi complico solo la vita». Paura, timore di ritorsioni, anche da parte di chi dovrebbe curare, accudire.
Sarà forse anche per questo che il sostituto procuratore non ha trovato conferme alle accuse di Rachid — mentre segnala ripetuti rapporti disciplinari a suo carico — e motiva la richiesta di archiviazione nei confronti degli agenti col fatto che «delle persone sentite nessuna ha riferito di aver visto segni di percosse o lesioni o di aver assistito ad episodi di violenza nei suoi riguardi ». Gli agenti negano e non sono state trovate conferme alle accuse, nessuno ha visto, nessuno ha denunciato. Restano solo quelle registrazioni a raccontare un clima che ben poco ha a che fare con l’idea di penitenziario come luogo di rieducazione.
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LE REAZIONI / IL SENATORE
Manconi “Motivazione che legittima la violenza”
ROMA. «Non so se il sostituto procuratore lo ha fatto per ingenuità o irresponsabilità, ma parlare di lezioni di vita carceraria davanti a quelle registrazioni è peggio che confermare gli abusi: è la legittimazione ideologica e morale della violenza in carcere ». Il senatore Luigi Manconi, presidente di “A Buon diritto”, che per prima ha denunciato e fatto pubblicare i nastri registrati, e presidente della Commissione diritti umani di Palazzo Madama, è scandalizzato.
Come giudica la richiesta di archiviazione?
«È come se si considerasse la violenza nei penitenziari non come patologia e manifestazione estrema e pericolosa, ma come un tratto connaturato alla struttura carceraria. Quando il magistrato parla di lezioni di vita carceraria siamo di fronte a situazioni di palese illegalità, luoghi dove domina l’intimidazione come strumento educativo. Perché in carcere la minaccia, implicita o esplicita, è il dato qualificante il rapporto gerarchico».
Procura sotto accusa?
«Secondo me si sarebbero dovute fare indagini più approfondite, invece ci si è basati quasi esclusivamente su carte già acquisite e su relazioni di servizio. La procura che doveva perseguire i reati è come se li avesse giustificati, legittimati e infine depenalizzati. Parlare di lezioni di vita carceraria è come dire che esiste una pedagogia della violenza. E questo già rende illegale e anticostituzionale quell’istituto ».
Le registrazioni del detenuto sono mai state contestate?
«No, la cosa strana è che nessuno ha mai messo in discussioni le frase registrate da Rachid ».
Ci sono medici impauriti nei penitenziari?
«Sì, lo dicono le intercettazioni: ci sono medici che rifiutano di confermare le violenze perché hanno paura di ritorsioni. Questo significa che il personale che lavora all’interno del carcere, dagli educatori agli psicologi, può subire il clima interno di intimidazione. Così non è possibile fare il proprio mestiere, rispettare il codice deontologico, Non è possibile lavorare in libertà se si è sottoposti a ricatti».
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