Assalto all’ambasciata saudita

Assalto all’ambasciata saudita

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Si fa sempre più serrato il braccio di ferro tra sunniti e sciiti nell’universo islamico già destabilizzato. L’esecuzione di un leader sciita a Riad fa scattare nuove tensioni. Una folla inferocita ha fatto irruzione e devastato l’ambasciata saudita nella capitale iraniana: oggi sono previste nuove manifestazioni. Scontri sono registrati nelle province dell’Arabia Saudita ove più densa è la minoranza sciita. È guerra di religione, che più diventa dura più aizza gli oltranzisti. Ma è anche scontro frontale tra le potenze regionali che aspirano a guidare i due campi contrapposti: l’Arabia Saudita sunnita e l’Iran sciita. L’ultima fiammata a rintuzzare il fuoco arriva dal cuore della penisola arabica, dove la monarchia degli Al Saud annuncia l’esecuzione capitale di 47 prigionieri accusati di «terrorismo». Alcuni sono militanti sunniti di Al Qaeda. Però in grande maggioranza risultano sciiti attivisti delle rivolte scoppiate nel 2011 nelle province orientali del Paese. E tra loro spicca il nome del poco più che cinquantenne sceicco Nimr al Nimr. Un personaggio molto noto, considerato tra gli esponenti più rilevanti della minoranza sciita (circa il 25 per cento dei sauditi). La sua importanza deriva anche dal legame a filo doppio con gli ayatollah iraniani. La polizia lo aveva individuato nell’estate di cinque anni fa come «pericoloso sobillatore». Al suo arresto nel 2012 Teheran chiese subito che la sua incolumità venisse garantita dalle organizzazioni internazionali per i diritti umani, specie dopo che emersero voci di violenze e persino torture. L’arresto poco dopo del 17enne nipote Ali mantenne viva l’attenzione sul suo caso.
Inevitabilmente la morte di al Nimr assurge a casus belli. Il gran Mufti saudita, sceicco Abdulaziz al Sheikh, la difende d’ufficio, ribadendo che è coerente alla legge islamica e garantisce la sicurezza nazionale. «È stata un atto di compassione nei confronti dei prigionieri, visto che ora non potranno più commettere atti diabolici», dichiara. L’anno scorso le condanne a morte sono state oltre 150, in stragrande maggioranza attivisti sciiti. Ma è dal 2003, con l’invasione americana dell’Iraq, che il regime saudita si sente sotto attacco, gli antichi equilibri regionali sono sconvolti, la vecchia alleanza con Washington sempre più precaria. E oggi gli sciiti appaiono in espansione. L’Iran sostiene il regime siriano con la collaborazione della Russia, in Iraq i sunniti sono in ritirata. Riad reagisce intervenendo in Yemen, creando una grande coalizione di Stati sunniti, dando armi ai ribelli in Siria e ai partiti fratelli in Libano. A Bagdad aveva riaperto negli ultimi giorni la propria ambasciata chiusa da 25 anni, ma ora le accuse del governo sciita iracheno contro le esecuzioni rischiano di bloccare l’apertura diplomatica. Anche il rapimento a metà dicembre da parte delle milizie sciite irachene di 26 cacciatori sunniti, tra cui alcuni principi del Qatar, è termometro delle tensioni. La crisi è dettata adesso dall’intensificarsi delle proteste contro l’esecuzione che giungono dal campo sciita. La Guida suprema iraniana Ali Khamenei in un tweet la condanna senza riserve e annuncia che «il risveglio sciita è insopprimibile». Il ministero degli Esteri di Teheran dice che Riad «pagherà a caro prezzo l’assassinio di al Nimr». Non è escluso che per rappresaglia il regime iraniano possa decidere l’esecuzione di alcuni dei 27 sunniti condannati a morte e chiusi nelle sue carceri. Toni rabbiosi giungono dalla milizia sciita libanese dell’Hezbollah. In Iraq il leader sciita Moqtada al Sadr chiama alla mobilitazione. E le manifestazioni di ostilità si allargano al mondo musulmano non arabo.
A Srinagar, nel Kashmir indiano, attivisti sciiti sono scesi in piazza. Anche la responsabile della politica estera Ue, Federica Mogherini, ha espresso la condanna di principio contro la pena di morte.
Lorenzo Cremonesi


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