È il trionfo del voto contro. Più di metà degli spagnoli di sinistra ha votato contro il Psoe scegliendo Podemos. Più di un terzo degli spagnoli moderati ha votato contro il Ppe premiando Ciudadanos.
La Spagna non si è spostata a destra. Non si è neppure significativamente spostata a sinistra. Si è trasferita su un’orbita di malcontento popolare che non riesce a esprimere altro che se stesso. L’Europa guarda con preocupazione al risultato che esce dalle urne iberiche. Non solo e non tanto perchè sembra condannare la quarta potenza del Continente all’ingovernabilità. Ma perchè segna un’ennesima sconfitta della politica. E il fallimento della politica mette in discussione la democrazia come sistema in grado di far convergere consenso e potere. Rende difficile leggere quale sia la volontà dei cittadini alla luce delle categorie consolidate del pensiero sociale. Sposta la ricerca del consenso lungo sentieri che esulano dal merito delle questioni su cui occorre decidere. Già la Grecia, esattamente un anno fa, aveva segnato un trionfo del voto contro. La vittoria di un partito di sinistra non tradizionale come Syriza aveva portato alla formazione di una coalizione con la destra nazionalista. Poi alla rottura con l’Europa sancita da un referendum popolare. Infine ad una governance improntata alla tardiva accettazione di politiche e di valori apertamente in contraddizione con i programmi elettorali dei vincitori. Dove sta la democrazia in tutto questo?
A seguire ci sono state le due fiammate di segno opposto venute dalla Polonia e dalla Francia. A Varsavia una leadership moderata ed europea, che aveva governato bene e aveva garantito al Paese brillanti risultati economici, è stata spodestata per mettere al potere un partito catto-fascista che aveva già dato prove di governo fallimentari e che sta sovvertendo le istituzioni di garanzia democratica, come in Ungheria. In Francia l’anti-politica della Le Pen ha portato il Front National a divenire il primo partito, costringendo socialisti e conservatori ad una innaturale alleanza per fermarla al ballottaggio. Il risultato è che una forza politica arrivata prima in quasi tutte le regioni francesi non ne governa neppureuna. Possiamo rallegrarcene. Tirare un sospiro di sollievo. Ma, anche qui, dove sta la democrazia?
Se nei cittadini europei cresce la tendenza a votare contro il partito che storicamente rappresenta la loro parte politica, senza tuttavia cambiare sostanzialmente opinione, le categorie della politica diventano illeggibili e la democrazia per conseguenza diventa ingovernabile. Certo, questo fenomeno mette chiaramente in evidenza l’inadeguatezza di intere classi dirigenti, che infatti rischiano di essere spazzate via dalle urne. Ma se il fenomeno è generalizzato a tutta l’Europa, il sospetto che il problema non possa essere ricondotto alle carenze di questa o quella leadership diventa più che legittimo.
Qualcuno, a Bruxelles, avanza l’ipotesi che questa epidemia dell’antipolitica, intesa come rifiuto dei partiti che tradizionalmente veicolano le idee di destra o di sinistra, progressiste o concervatrici, laiche o confessionali, sia in realtà un portato dell’irrilevanza che ormai contraddistingue la politica a livello nazionale. Giuste o sbagliate che siano, le grandi scelte di fondo che condizionano la nostra società e i nostri destini collettivi e personali ormai si fanno a livello europeo. La parabola della Grecia ne è la dimostrazione evidente. Se gli elettori non hanno la sensazione di poter determinare con il loro voto le sorti del proprio Paese, finiscono per utilizzare la scheda per esprimere la frustrazione verso una classe politica che finge di dirigere ma che ormai non dirige più nulla. Oppure rivolgono la loro rabbia verso l’Europa.
Questa lettura coglie probabilmente alcuni aspetti di verità. Ma, quale che sia la spiegazione del fenomeno, il terremoto politico che sta scuotendo i governi nazionali della Ue rischia di essere un sisma sistemico. E le mura che cominciano a tremare sotto le sue scosse non sono solo quelle della destra o della sinistra tradizionali. È l’edificio stesso della nostra democrazia che comincia ad essere in pericolo.