Nuova cultura e nuovo Stato, l’Isis teorizzato
Lo chiamano sedicente Stato Islamico, dignità statuale non gli va riconosciuta. Eppure al-Baghdadi ha aspirazioni che vanno oltre la mera occupazione di territori.
L’errore dell’Occidente sta tutto qua: spacciarlo per un fenomeno estemporaneo, irrazionale. Nato nel 2006, ha approfittato di paesi compiacenti per proliferare. Strumento per destabilizzare il Medio Oriente, questo era l’Isis per i suoi sostenitori. Ma i suoi orizzonti sono più ampi: un progetto statuale, con confini definiti e successive relazioni esterne, una burocrazia interna, un’economia propria. Lo rivela un documento pubblicato dal The Guardian, “Principi nell’amministrazione dello Stato Islamico”: il teorico Abu Abdullah al-Masri descrive per capitoli i passi per fondare lo Stato.
Redatto tra luglio e ottobre 2014 e paragonato dall’ex generale Usa McChrystal alla teorizzazione maoista, analizza la storia del mondo arabo da Sykes-Picot, visto come mezzo di deprivazione dei sunniti. E ne individua la “soluzione”: fondere nella cultura islamica stranieri che abbracciano il califfato e nativi, ripuliti dalla presenza degli infedeli.
A seguire i bisogni tipici di ogni entità statuale: apertura di fabbriche, struttura militare, sfruttamento del petrolio, uso dei media, divisione del potere tra ministeri e enti locali. Ma soprattutto l’educazione: «Lo Stato richiede un sistema di vita islamico, una costituzione coranica e un sistema che lo implementi. Non si reprima il ruolo di capacità e qualifiche, l’addestramento dell’attuale generazione all’amministrazione dello Stato».
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