ROMA. «Per noi la situazione non cambia», dicono al ministero della Difesa nelle ore in cui Barack Obama annuncia un rafforzamento delle operazioni anti-Is da parte della coalizione internazionale. L’Italia – fa sapere via XX settembre – è il Paese europeo con il più alto numero di militari e mezzi impegnati nella lotta agli estremisti di Daesh: 750 uomini tra Erbil, Baghdad e Kuwait. Quattro tornado, due droni, un aereo cisterna. Con l’ulteriore apporto di un sistema logistico e di software che consente a tutta la coalizione la condivisione di dati e informazioni. Nessun ulteriore impegno militare, quindi. Stiamo facendo molto e faremo ancora di più sul piano diplomatico e politico. Ma le parole del presidente americano non possono essere slegate da quanto accaduto a Roma nel fine settimana. La conferenza sulla Libia organizzata dalla Farnesina – alla presenza dell’inviato speciale Onu Martin Kobler e del segretario di Stato statunitense John Kerry – è stata considerata un successo dal governo italiano. A Palazzo Chigi, si sottolinea come il riferimento di Obama al nostro Paese testimoni «una piena e operativa sintonia tra Italia e Stati Uniti». E vada contro chi ci dipinge come deboli e poco presenti nella lotta all’estremismo islamico dopo la tragica notte del 13 novembre a Parigi.
Quel che è certo, però, è che se davvero tra una settimana le diverse fazioni libiche firmeranno l’accordo previsto a Skhirat, in Marocco, se in un teatro di guerra così complesso si riuscirà a instaurare un governo di unità nazionale come auspicato dalle parti a Roma, il nostro impegno potrebbe davvero diventare maggiore. Ad anticiparlo, era stato lo stesso Paolo Gentiloni davanti alle commissioni riunite Difesa e Esteri a inizio ottobre. «Per quanto riguarda la Libia – aveva detto il ministro degli Esteri – il presidente del Consiglio ha ribadito nel suo intervento all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che l’Italia è pronta ad assumere un ruolo guida in uno sforzo internazionale di stabilizzazione del Paese ». È quello che potrebbe succedere presto. Oltre all’Iraq e al Kuwait, l’Italia ha ancora 834 soldati impegnati in Afghanistan in operazioni di addestramento delle forze armate governative che combattono i Taliban (così come in Iraq addestriamo soprattutto i curdi, cui abbiamo anche fornito armi).
Il nostro ruolo in Libia – una volta che ci sarà un governo riconosciuto – potrebbe essere di questo tipo: «Un sostegno alle forze locali nella stabilizzazione del Paese e nell’affrontare possibili rivolte terreno», raccontano fonti parlamentari. Il tutto, inquadrato in una coalizione internazionale di Paesi che sarebbero chiamati ad aiutare il nuovo esecutivo per tenere a bada gli estremismi delle diverse fazioni. Il numero dei militari impiegati dipenderà da quanti Stati parteciperanno all’operazione, ed è ancora tutto da vedere. Ma l’obiettivo è chiaro, ed è quello che ha portato all’accelerazione politica degli ultimi giorni: oltre a stabilizzare il Paese e a mantenere la tregua tra le fazioni che si sono combattute fino a questo momento, infatti, bisognerà fermare l’avanzata dell’Is. Arginare gli uomini del Califfato che stanno prendendo possesso della zona intorno a Sirte. È questo che è cambiato rispetto a sei mesi fa. È questo che ha reso necessario lo sforzo diplomatico delle ultime settimane e che ha portato Kobler e Kerry in Italia. Ed è per questo motivo che l’impegno militare in Libia quando partirà – non sarà banale.
In più, davanti al cambio di quadro cui l’accordo di mercoledì in Marocco dovrebbe dare il via, potrebbe modificarsi anche la natura dell’operazione europea Sofia, quella che vede 22 Paesi sotto il comando italiano nell’opera di pattugliamento davanti alle acque libiche. Si tratta della missione navale che in questi mesi sta funzionando da contrasto alla tratta dei migranti e che con un nuovo governo di coalizione a Tripoli – potrebbe entrare nella sua terza fase. Alle navi della missione, infatti, potrebbe essere concesso di operare anche in acque territoriali libiche e contrastare così più facilmente il traffico di esseri umani che dall’Africa tentano disperatamente di arrivare in Europa.