by Rachele Gonnelli, il manifesto | 9 Dicembre 2015 9:11
Francia e Germania, contro Roma e Atene, chiedono di «ridurre i flussi». Una bimba siriana, un neonato, un ragazzino di 12 anni: annegati sotto gli occhi di Frontex e dei guardiamarina turchi. Perché non li hanno salvati?
Sei bambini sono morti ieri mattina su un gommone naufragato tra la città costiera turca di Cesme e l’isola greca di Chios. Il più piccolo era ancora in fasce e il più grande aveva 12 anni, così dice, seccamente, il dispaccio della guardia costiera turca che ha recuperato i loro corpi nelle buste nere che siamo stati abituati a vedere in naufragi simili a Lampedusa. Ma c’è qualcosa di strano in questa «tragedia dell’immigrazione» apparentemente uguale a tante altre che i dispacci non dicono. Altri 11 morti si contano alle Canarie, provenieti dal Sahara.
Il tratto di mare tra Cesme e Chios è di poco più di un miglio, 20 minuti di viaggio con il traghetto Erturk Lines per un costo medio di una famiglia di vacanzieri europei con auto al seguito di appena cento euro. Il dispaccio dell’agenzia di Stato turca Anadolu riferisce che sul gommone pieno di migranti all’improvviso hanno ceduto le doghe di legno di rinforzo del fondo del gommone, si sono spezzate, forse per il peso eccessivo o perché il gommone aveva imbarcato acqua appesantendosi ulteriormente.
Ma anche così ciò che non torna è che non ci sia stato un tempestivo intervento della guardia costiera o dell’unità di Frontex che proprio ieri mattina, dal Portogallo, ha iniziato a pattugliare quel tratto di mare fino all’isola più a nord di Lesbo.
È di appena due giorni fa la denuncia dell’ong internazionale Human Right Watch sulle incursioni di uomini vestiti di nero, mascherati in voltocon passamontagna e armati che «a bordo di motoscafi veloci dalla costa turca attaccano i barconi di rifugiati e migranti che cercano di raggiungere le isole greche dell’Egeo». Human Right Watch ha raccolto nove testimonianze tra i migranti dei barconi affondati in questo modo e tornati in Turchia, nella città di Izmir. Dicono che gli uomini neri mascherati si rivolgevano ai migranti in inglese — «Stop, stop», intimavano ai guidatori -, prendevano a manganellate i padri e le madri che imploravano pietà almeno per i loro figli e speronavano le imbarcazioni sovraccariche di persone, mandandole a picco. Bill Frelick, direttore del settore Rifugiati di Human Right Watch si chiede come è possibile che le unità di Frontex non intervengano e come può l’Unione europea far finata di niente di fronte a queste denunce invece di impegnarsi a far luce sulla vicenda.
In base ai dati dell’Unicef un migrante su cinque che quest’anno ha cercato di attraversare il Mediterraneo per raggiungere la ricca Europa è un bambino. Ma quando si va al conteggio dei morti, la percentuale sale a un terzo: dei 3.563 naufraghi accertati di quest’anno nel Mediterraneo, mille erano bambini e minori. Mille Aylan Kurdi, il bambino di quattro anni la cui foto, riverso sulla spiaggia di un’isola greca, ha commosso il mondo intero. In quel pezzo di mare prima di questa ultima strage, altri 185 Aylan erano affogati nello stesso modo.
L’Europa è intervenuta, sì, dando 3,2 miliardi di euro alla Turchia perché, a differenza di quanto ha fatto finora, intervenga per arrestare il flusso dei migranti verso la Grecia. Il primo intervento è stato l’arresto di circa 3mila migranti, una settimana fa, nella città di Ayvacik, cioè a un tiro di schioppo da Cesme, luogo di partenza del gommone naufragato ieri.
Le autorità greche sono distratte dai problemi sul confine a nord, con la Macedonia, impegnate in un brutto braccio di ferro con il governo di Skopje che ha bloccato circa un migliaio di transitanti nella località di confine di Idomeni. Al freddo, senza cibo né servizi i migranti hanno più volte bloccato la ferrovia che collega il porto del Pireo e la sua enorme area industriale di multinazionali con i mercati del Nord Europa.
Fyrom, come si chiama ora l’ex Repubblica macedone, ha in ballo un duro contenzioso economico con Atene: la Grecia quest’estate per frenare la fuga di capitali legata alle paure della Grexit ha bloccato i trasferimenti di capitali, congelando nella «pancia» delle banche greche oltre 6 miliardi di euro di capitali macedoni. I migranti quindi sono usati come arma di ricatto per ottenere lo sblocco dei fondi. Il governo di Skopje però non è l’unico a usare i migranti che premono sulla rotta dei Balcani occidentali per altri scopi, invece di pensare ad aiutarli. Paesi terzi, come il Pakistan, si rifiutano di riaccogliere i «migranti economici» intercettati in Grecia senza un accordo con l’Europa (e relativi fondi)sui rimpatri.
Le renditions continuano a essere esigue sia dalla Grecia che dall’Italia (meno di 200 persone in tutto sono state imbarcate su voli di rientro, su 160 mila che avrebbero dovuto partire).
La Commissione europea, su iniziativa di Francia e Germania, sta mettendo sotto pressione Grecia e Italia affinché attuino i nuovi protocolli di schedatura di massa in funzione anti terrorismo oltre che per frenare l’ondata migratoria. È di ieri la minaccia della Commissione Junker all’Italia: intende aprire una procedura d’infrazione per non aver inserito nel sistema Eurodac il rilevamento delle impronte digitali nei controlli dei richiedenti asilo.
La procedura, salvo ripensamenti dell’ultim’ora, dovrebbe essere aperta già domani. Sempre che sia questo l’obiettivo e non un più invasivo controllo non solo dei migranti ma anche degli spostamenti e contatti dei cittadini europei. Schengen, con l’attuale welfare asimmetrico nei diversi paesi europei, può apparire insostenibile con una recessione che non passa.
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