Il fango tossico fa strage in Brasile
SAN PAOLO. Un disastro ambientale di proporzioni incalcolabili, paragonabile a quello di Fukushima. La tragedia si è messa in moto in Brasile il 5 novembre nella miniera di ferro di proprietà dell’impresa Samarco, a Mariana, nello stato di Minas Gerais (sud-est del paese). Due dighe di contenimento delle acque reflue hanno ceduto. Una marea di fango tossico ha sepolto la popolazione di Bento Rodrigues, che si trova a 20 minuti dal centro di Mariana, provocando 17 morti, 75 feriti, 12 dispersi e 500 sfollati.
Più di 250 mila persone sono rimaste senza acqua potabile. Gli oltre 50 milioni di metri cubi di residui tossici hanno inquinato il Rio Doce e ora, dalla foresta pluviale hanno raggiunto l’Oceano Atlantico. La lava tossica si è sparsa nell’oceano. E il 24 novembre si è prodotto un nuovo allarme circa la possibile rottura, ancora più devastante, di altre due dighe a Mariana.
La Samarco — che ha come partner Vale, la principale impresa mineraria del Brasile, privatizzata 18 anni fa, e l’australiana Bbp Billiton, una delle più grandi al mondo — , dopo aver negato la tossicità dei fanghi ha accettato di pagare 260 milioni di dollari. Un risarcimento che lo stato brasiliano considera «solo una prima rata», a fronte dei danni incalcolabili provocati.
«Per ridurre i costi dell’estrazione mineraria si eliminano le protezioni ambientali e quelle del lavoro», dice al manifesto il sindacalista Marcio Zonta, militante del Movimiento Nacional por la Soberanía Popular Frente a la Minería(Mam). Il Mam è un’organizzazione che fa parte di Via Campesina Brasil e che si batte contro le grandi imprese minerarie in America latina. Il continente latinoamericano è una delle regioni con le maggiori riserve di minerali al mondo e per questo particolarmente appetibile di fronte alla crescita della domanda mondiale di ferro, oro o nichel, che si è determinata negli ultimi dieci anni. Le multinazionali passano sopra alla sovranità dei governi e dei popoli, inquinando territori e colonizzando le economie. Con il Tpp sarà ancora peggio.
Zonta, che abbiamo incontrato a San Paolo durante l’Incontro continentale dei media popolari, spiega così il disastro di Mariana, e critica il nuovo Codice minerario che sta per essere discusso dal Congresso. «È un corpo di leggi sostanzialmente a misura delle grandi imprese – dice – il parere delle popolazioni e dei minatori, che spesso muoiono prima dei 45 anni, non è stato ascoltato». Quello delle miniere – afferma — «è un tema nazionale, che necessita di un approccio globale. Lo dicono tutti, ma le popolazioni continuano a portare il peso delle privatizzazioni degli anni ’90. Invece, sono le uniche a dover decidere dove si deve scavare e perché». Quello di Mariana – dice ancora il sindacalista – «è un disastro annunciato, un disastro strutturale che richiede una grande mobilitazione affinché i lavoratori possano riprendere il controllo».
Il 25 novembre, quattro giovani del Movimento senza terra sono finiti in carcere per aver protestato davanti al Congresso Federale contro l’impresa Vale e il nuovo Codice minerario. Contro di loro, un’accusa grottesca, quella di «crimine ambientale». I ragazzi avevano inscenato una performance artistica usando acqua e argilla per rappresentare l’inondazione di fango e avevano sporcato una parete, poi ripulita.
Secondo un’inchiesta di Brasil de Facto, la Samarco aveva disposto un piano di emergenza nel 2009 che, se fosse stato applicato, avrebbe potuto evitare la tragedia. «Il Rio Doce – spiega Marcio Zonta – attraversa molti comuni tra lo stato di Minas Gerais e Espirito Santo. Le sostanze tossiche hanno distrutto fauna e flora, l’economia dei pescatori e inquinato il mare di Espirito Santo. E ci vorranno molti anni prima che il piano di recupero annunciato da Dilma Rousseff possa sortire qualche effetto».
Il governo ha messo in campo l’operazione Arca di Noè fidando sulla partecipazione di associazioni ambientaliste e personale specializzato. Ma difficilmente si potranno salvare gli animali terrestri, i pesci e le tartarughe marine, già a rischio di estinzione. E il terreno rimarrà infertile per molti anni. Il fango tossico ha inquinato oltre 70km di coste ricche di pesca e meta turistica preferita dai surfisti. Secondo l’Onu, le misure prese dal governo sono «chiaramente insufficienti».
Il disastro di Mariana «non diminuirà il peso del Brasile sui negoziati del clima», ha detto il Sottosegretario brasiliano all’ambiente, José Antonio Marcondes, ai giornalisti presenti alla Cop21. «Si è trattato di un tragico incidente che non ha niente a che vedere col clima, ora stiamo lavorando per porvi rimedio». Alla conferenza di Parigi, il Brasile porta «un ambizioso contributo», illustrato dalla presidente Rousseff, accompagnata dal ministero degli Esteri Mauro Vieira e dalla ministra dell’Ambiente, Izabella Teixeira. La presidente ha già illustrato gli obiettivi del Brasile lo scorso 27 settembre, davanti all’Assemblea generale delle Nazioni unite: ridurre le emissioni di Co2 del 37% per il 2025 rispetto ai livelli del 2005, uno sforzo che potrebbe arrivare al 43% per il 2030. Per questo, il paese ha promesso di riservare alle energie rinnovabili – compresa a quella idraulica – il 45% della copertura energetica totale: più della media globale, che è del 13%.
Rousseff ha anche assicurato che, nel prossimo decennio fermerà del tutto il disboscamento illegale dell’Amazzonia e conterrà le emissioni provocate dalla deforestazione autorizzata. Entro il 2025, il Brasile conta inoltre di recuperare circa 12 milioni di ettari di terreno degradato. Ma, dopo il disastro di Minas Gerais, dovrà raddoppiare gli sforzi.
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