I timori dell’Europa per la svolta polacca «Deriva autoritaria»
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BRUXELLES Messaggio respinto al mittente e senza scuse. La Polonia, nonostante la richiesta della Commissione europea di aspettare, ha approvato la riforma della Corte costituzionale, che limita l’autorità dei giudici mettendo così in discussione il principio democratico fondamentale della separazione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario.
Non sono servite le proteste delle scorse settimane a Varsavia e in altre 23 citta della Polonia contro il governo, accusato di limitare le libertà e di violare le regole della democrazia parlamentare. Alla vigilia di Natale è andato in scena l’ultimo atto, ma che non sarà l’ultimo, di una deriva antidemocratica presa dal Paese dopo le elezioni di fine ottobre, che hanno portato al potere Beata Szydlo della forza ultranazionalista ed euroscettica Diritto e giustizia di Kaczynski, sulla scia della vittoria in primavera delle presidenziali con Andrezej Duda. Tra le mosse del nuovo esecutivo anche la sostituzione di un colonnello a capo di un centro di controspionaggio della Nato, colpevole di non aver obbedito a un ordine del premier e il tentativo di aumentare il controllo sull’informazione pubblica.
Si apre così un altro fronte nell’Unione Europea, già alle prese con la Brexit, l’emergenza immigrazione, la Grexit mai veramente risolta. Un suo Stato membro viene meno a uno dei principi fondamentali che sono alla base dell’alleanza. Il vicepresidente della Commissione, l’olandese Frans Timmermans che ha la delega allo stato di diritto e la carta dei diritti fondamentali, il 23 dicembre scorso ha scritto alle autorità polacche chiedendo maggiori informazioni e il coinvolgimento della Commissione di Venezia, l’organismo che offre una consulenza giuridica agli Stati che vogliono modificare le proprie leggi. Timmermans «ha sottolineato l’importanza del ruolo della legge — spiega Nathalie Vandystadt, portavoce della Commissione — come uno dei valori dell’Unione Europea». Una prima risposta da Varsavia è arrivata la vigilia di Natale, in cui si diceva che la Polonia sta consultando la Commissione di Venezia. Tuttavia all’alba del 24 dicembre la riforma della Corte costituzionale è stata approvata. La vera posizione del governo polacco è stata espressa dal ministro della Giustizia Zbigniew Ziobro: «Siamo uno Stato sovrano che decide da solo sui propri organi costituzionali». E rivolto alla Commissione: «Non penso che un corpo esterno ci possa imporre qualcosa, perché questo potrebbe andare in conflitto con il nostro sentimento di orgoglio nazionale». Messaggio assai chiaro. Non c’è da stupirsi che la Commissione segua con «preoccupazione» le trasformazioni in corso in Polonia. Il 13 gennaio il dossier sarà sul tavolo di Juncker e del Collegio dei commissari.
Certo, Bruxelles era già abituata alle intemperanze del premier ungherese Viktor Orbán, alla guida di un partito xenofobo e antisemita, che non ha esitato ad alzare un muro per «difendersi» dagli immigrati, si è opposto alla ripartizione tra gli Stati Ue dei rifugiati e ha instaurato una relazione privilegiata con la Russia nonostante le sanzioni della Ue per la crisi ucraina. Stavolta è diverso. La Polonia ha un peso differente nell’Unione. La sua popolazione rappresenta il 7,6% dei cittadini della Ue e la sua economia, nonostante la crisi e pur rallentando, ha continuato a crescere: quest’anno del 3,5% contro lo 0,9% dell’Italia e l’1,9% della media Ue. Anche per tasso di disoccupazione è sotto la media. I senza lavoro a Varsavia sono il 7,6%, contro il 12,2% dell’Italia e il 9,5% della media Ue. Non è un caso dunque se nelle delicate trattative per i vertici delle istituzioni europee Varsavia, sostenuta da Berlino, abbia ottenuto la guida del Consiglio europeo affidata a Donald Tusk e nella Commissione Juncker il Mercato interno in mano a Elzbieta Bienkowska. Ora la Polonia è una spina nel fianco della Ue, con la sua deriva antidemocratica e nazionalista. Un primo segnale: la ferma difesa dell’uso del carbone per produrre energia nonostante la politica green di Bruxelles e gli impegni di Parigi. Un problema.
Francesca Basso
Non sono servite le proteste delle scorse settimane a Varsavia e in altre 23 citta della Polonia contro il governo, accusato di limitare le libertà e di violare le regole della democrazia parlamentare. Alla vigilia di Natale è andato in scena l’ultimo atto, ma che non sarà l’ultimo, di una deriva antidemocratica presa dal Paese dopo le elezioni di fine ottobre, che hanno portato al potere Beata Szydlo della forza ultranazionalista ed euroscettica Diritto e giustizia di Kaczynski, sulla scia della vittoria in primavera delle presidenziali con Andrezej Duda. Tra le mosse del nuovo esecutivo anche la sostituzione di un colonnello a capo di un centro di controspionaggio della Nato, colpevole di non aver obbedito a un ordine del premier e il tentativo di aumentare il controllo sull’informazione pubblica.
Si apre così un altro fronte nell’Unione Europea, già alle prese con la Brexit, l’emergenza immigrazione, la Grexit mai veramente risolta. Un suo Stato membro viene meno a uno dei principi fondamentali che sono alla base dell’alleanza. Il vicepresidente della Commissione, l’olandese Frans Timmermans che ha la delega allo stato di diritto e la carta dei diritti fondamentali, il 23 dicembre scorso ha scritto alle autorità polacche chiedendo maggiori informazioni e il coinvolgimento della Commissione di Venezia, l’organismo che offre una consulenza giuridica agli Stati che vogliono modificare le proprie leggi. Timmermans «ha sottolineato l’importanza del ruolo della legge — spiega Nathalie Vandystadt, portavoce della Commissione — come uno dei valori dell’Unione Europea». Una prima risposta da Varsavia è arrivata la vigilia di Natale, in cui si diceva che la Polonia sta consultando la Commissione di Venezia. Tuttavia all’alba del 24 dicembre la riforma della Corte costituzionale è stata approvata. La vera posizione del governo polacco è stata espressa dal ministro della Giustizia Zbigniew Ziobro: «Siamo uno Stato sovrano che decide da solo sui propri organi costituzionali». E rivolto alla Commissione: «Non penso che un corpo esterno ci possa imporre qualcosa, perché questo potrebbe andare in conflitto con il nostro sentimento di orgoglio nazionale». Messaggio assai chiaro. Non c’è da stupirsi che la Commissione segua con «preoccupazione» le trasformazioni in corso in Polonia. Il 13 gennaio il dossier sarà sul tavolo di Juncker e del Collegio dei commissari.
Certo, Bruxelles era già abituata alle intemperanze del premier ungherese Viktor Orbán, alla guida di un partito xenofobo e antisemita, che non ha esitato ad alzare un muro per «difendersi» dagli immigrati, si è opposto alla ripartizione tra gli Stati Ue dei rifugiati e ha instaurato una relazione privilegiata con la Russia nonostante le sanzioni della Ue per la crisi ucraina. Stavolta è diverso. La Polonia ha un peso differente nell’Unione. La sua popolazione rappresenta il 7,6% dei cittadini della Ue e la sua economia, nonostante la crisi e pur rallentando, ha continuato a crescere: quest’anno del 3,5% contro lo 0,9% dell’Italia e l’1,9% della media Ue. Anche per tasso di disoccupazione è sotto la media. I senza lavoro a Varsavia sono il 7,6%, contro il 12,2% dell’Italia e il 9,5% della media Ue. Non è un caso dunque se nelle delicate trattative per i vertici delle istituzioni europee Varsavia, sostenuta da Berlino, abbia ottenuto la guida del Consiglio europeo affidata a Donald Tusk e nella Commissione Juncker il Mercato interno in mano a Elzbieta Bienkowska. Ora la Polonia è una spina nel fianco della Ue, con la sua deriva antidemocratica e nazionalista. Un primo segnale: la ferma difesa dell’uso del carbone per produrre energia nonostante la politica green di Bruxelles e gli impegni di Parigi. Un problema.
Francesca Basso
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