Samir Kuntar sapeva di essere nel mirino: il suo vice Jihad Mughniyeh e un generale iraniano erano stati uccisi a gennaio da un bombardamento mirato mentre ispezionavano postazioni sulle alture del Golan. Un anno dopo anche lui ha seguito la loro sorte.
Hezbollah accusa dell’attacco Israele, che tace come sempre e dice di non «dispiacersi per la dipartita di Kuntar». Ma pochi piloti hanno l’audacia mostrata dai due comandanti degli F-16 che nella notte hanno penetrato i cieli siriani – i più affollati e controllati del Medio Oriente con 14 Paesi che impegnano le loro aviazioni militari – hanno volato fino a Damasco, colpito con 4 missili quella palazzina di sei piani usata come “foresteria” dai dirigenti sciiti libanesi in transito nella capitale siriana e sono usciti dallo spazio aereo verso il Mediterraneo prima che l’antiaerea siriana potesse reagire.
La rappresaglia non ha tardato ad arrivare e ieri sera sono suonate le sirene di allarme in tutte le cittadine nel nord di Israele per l’arrivo di tre missili sparati dal sud Libano, presumibilmente dagli Hezbollah nel settore controllato dai “caschi blu” italiani dell’Unifil. I caccia con la Stella di David si sono di nuovo alzati in volo, l’artiglieria ha risposto ai missili e sul confine nord di Israele adesso si respira aria di guerra.
L’operazione Kuntar è stata preparata con cura e attenzione, in una interazione fra spie locali, infiltrati nel “cuore del nemico”, che hanno raccolto per mesi le informazioni sul terreno, sugli orari, le presenze, la durata delle riunioni dei boss di Hezbollah, dei consiglieri militari iraniani e dei generali di Bashar al Assad in quella palazzina di Jaramana ora ridotta a un cumulo di macerie. Una “rete” efficiente e efficace che aveva già dato prova di grandi capacità quando nel 2008 con una bomba piazzata nel poggiatesta del suo fuoristrada era stato eliminato a Damasco Imad Mughnyeh, il capo militare di Hezbollah, mentre usciva dall’elegante casa di una “intima amica” in pieno centro.
Stavolta lo strumento scelto, sembra dopo due missioni non andate a buon fine, è stato quello dei missili Hellfire: gli stessi usati per le eliminazioni mirate dei boss di Hamas nella Striscia di Gaza. Non è chiaro se l’aviazione di Mosca, che collabora con Assad, abbia opportunamente guardato “altrove” mentre i caccia israeliani si infilavano tra le difese siriane.
La combinazione di informazioni di prim’ordine e audacia militare hanno consentito di eliminare “un nemico” che Israele aveva ospitato nelle galere di massima sicurezza per quasi 30 anni prima di rilasciarlo 7 anni fa nell’ambito di uno scambio di prigionieri libanesi con i corpi di due soldati Tsahal uccisi da Hezbollah. Israele rilasciò quei prigionieri ma non li ha mai tolti dalla sua “Black List”. In Libano Kuntar venne accolto con tutti gli onori dal gran capo di Hezbollah, lo sceicco Hassan Nasrallah, e nel 2010 era diventato comandante militare nel sud Libano e poi sempre più coinvolto nella guerra civile siriana come comandante delle migliaia di miliziani libanesi in Siria.
I vertici di Hezbollah da Beirut promettono vendetta, che ieri sera ha preso la forma dei missili sparati sul nord di Israele ma che – come insegna l’esperienza passata – può essere il rapimento di militari israeliani lungo il confine, attentati contro sedi ufficiali israeliane nel mondo. Il movimento sciita al momento appare però indebolito. Il suo arsenale con migliaia di missili puntati contro Israele è intatto ma le perdite umane nella guerra per sostenere Assad sono numerose. Stime dell’intelligence dell’Esercito israeliano, fissano i caduti a quasi 1500 e i feriti a quasi il triplo. Un terzo delle risorse militari degli Hezbollah.