unta, senza che nessuno avesse avvertito dell’imbarco collettivo per la bocca di una ciminiera.
Le autorità hanno poi gentilmente trasmesso alcuni ordini: vecchi e bambini non devono uscire di casa, le scuole devono sospendere la ricreazione all’aperto, gli impiegati non devono sostare accanto alle finestre, chi è costretto ad uscire di casa deve farlo «per il tempo strettamente necessario ». Gli spiedini questa volta non sono stati banditi: il divieto di barbecue è in vigore da due anni. C’è anche dell’altro: alcuni tipi di camion non possono circolare, le fabbriche vicino a Pechino devono «chiudere o diminuire la produzione», i cantieri edili sono invitati «a non spostare materiali e rifiuti ». Tanto per seminare anche un po’ di fiducia, l’annunciatrice della tivù di Stato ha comunicato che l’allerta-smog è stata solo elevata dal colore giallo, «grave», all’arancione «molto grave», dunque ancora una sfumatura sotto il rosso, «emergenza gravissima ». Il ministro dell’Ambiente, Chen Jining, ha assicurato invece che il governo «ha raggiunto gli obiettivi di riduzione dell’inquinamento, fissati cinque anni fa, con sei mesi di anticipo».
Una superpotenza economica normale, alle prese con l’ordine «tappatevi in casa», anche se ormai affetta da bronchite cronica scenderebbe in piazza per una discreta rivoluzione. Se lo shopping costa la vita, anche a un disturbato da acquisto compulsivo viene il sospetto che il prezzo sia eccessivo. Centinaia di milioni di cinesi invece in que- ste ore, ancora una volta, ubbidiscono al partito: calano la mascherina su naso e bocca, si preparano al loro solito inverno da « airpocalypse » e inventano leggende proibite sui leader rossi che vivono in serre gonfiate con aria filtrata di montagna. Alternative poche. Nelle metropoli del Nordest inghiottito dallo smog, per chi deve andare al lavoro «uscire di casa lo stretto necessario» significa nuotare nei fumi tossici per tre ore al giorno. Sul web molti si chiedono: «Fare la spesa rientra nella deroga dei funzionari? ». Vecchi e bambini, barricati in salotto, non respirano atmosfera lunare, ma la polvere che filtra dall’esterno, addizionata dal carbone bruciato per riscaldarsi. Da un grattacielo di Chaoyang, per alcune ore, è stato esposto un lenzuolo con la scritta: «Vendesi appartamenti sottovuoto per neonati ».
L’unico ottimista è l’ufficio meteorologico di Pechino: ha rivelato che «il livello straordinario di inquinamento» è dovuto «solo alla somma di umidità e assenza di forti venti», promettendo che si potrà ricominciare a respirare «a partire da mercoledì ».
I cinesi cercano di tenersi su, ma sono sotto shock. A Pechino e a Tianjin, nelle regioni di Hebei, Shandong, Shanxi ed Henan, la concentrazione delle particelle PM 2,5 tocca quota 391 microgrammi per metro cubo: per l’Organizzazione mondiale della sanità il massimo sopportabile dall’organismo è 25. In alcuni quartieri della capitale si è oltre la soglia di 464. Nella città di Senyang si è arrivati al primato storico di 1200. La coltre marrone è così impenetrabile che gli automobilisti sono stati sollevati dall’obbligo di stop al rosso dei semafori, invisibili. L’ambasciata Usa, che ogni giorno documenta ciò che vaga nell’aria, in serata ha avvertito che a Pechino i limiti di «compatibilità con la vita umana» sono superati tra 15 e 20 volte. Significa che 1,7 milioni di cinesi muoiono ogni anno di inquinamento, che l’attesa di vita è ridotta di 8 anni e che anche un bambino (il dramma è dell’anno scorso) può morire di cancro al polmoni. A Parigi Xi Jinping dichiara «guerra contro i cambiamenti climatici». In Cina la propaganda esulta per il «primo bus a energia solare in servizio in Tibet».
A Pechino la gente per ora spera solo che il vento del Gobi, semplicemente, faccia al più presto il suo vecchio mestiere.