by Marina Catucci, il manifesto | 18 Dicembre 2015 10:00
NEW YORK. Parlare di armi e di commercio di armi negli Stati uniti è affrontare un soggetto per definizione complesso. Dati del 2014 dimostrano che negli ultimi dieci anni gli Stati uniti hanno inviato armi in Medio oriente per una somma pari a quasi 25 miliardi di dollari, aggiudicandosi così il titolo di maggiore esportatore di armamenti verso quell’area. Per fare un paragone la Russia si ferma a 5,5 miliardi di dollari.
Nuovi dati mostrano che sotto la presidenza Obama c’è stato un importante incremento delle vendite di armi all’estero. Dal giorno del suo insediamento la maggior parte delle esportazioni sono andate, ancora una volta, verso il Medio Oriente ed il Golfo Persico. L’Arabia Saudita è in cima alla lista delle esportazioni con cifre da capogiro, si parla di nuovi accordi per circa 46 miliardi di dollari.
Di questo parla William Hartung, direttore del Arms and Security Project, presso il «Center for International Policy» ed autore di «Profeti di guerra: Lockheed Martin e il making of del complesso militare-industriale». Ciò che Hartung ha recentemente spiegato ai microfoni di Democracy Now, è che anche dopo l’adeguamento per l’inflazione, «il volume di accordi importanti conclusi dall’amministrazione Obama nei suoi primi cinque anni, ha superato l’importo approvato dall’amministrazione Bush nei suoi ben otto anni in carica, di quasi 30 miliardi di euro. Ciò significa anche che l’amministrazione Obama ha approvato la vendita di armi in un numero maggiore rispetto a qualsiasi amministrazione degli Stati uniti dalla seconda guerra mondiale».
Ma anche il mercato interno fa registrare numeri considerevoli. Secondo gli analisti di IBIS world (uno dei principali editori mondiali nel campo dellabusiness intelligence, specializzata nella ricerca industriale e nella ricerca sugli appalti) l’industria delle armi e delle munizioni continua a prosperare negli Usa, dando vita ad un giro di affari che quest’anno dovrebbe toccare i 993 milioni di dollari di profitti. Le imprese che operano sul mercato interno hanno sfornato quasi sei milioni di armi da fuoco lnel 2014, il doppio rispetto a dieci anni fa.
Anche in questo caso l’amministrazione Obama ha giocato un ruolo chiave anche se indiretto, in quanto la sua elezione ha fatto registrare un incremento di vendite, quindi di produzione di armi, tanto che gli analisti hanno definito Obama «la cosa migliore che sia mai successa all’industria delle armi da fuoco». Durante i primi tre anni e mezzo della sua amministrazione, l’Fbi ha condotto quasi 50 milioni di controlli in background su acquisti riguardanti pistole, equivalenti a quasi il doppio della quantità registrata durante il primo mandato di George W. Bush.
Ma non sono solo i privati cittadini a far fiorire questa industria. Alla fine degli anni ’90 il mercato interno delle armi in America era abbastanza in declino, complice una buona situazione per l’economia ed una conseguenziale minore paura riguardo il crimine urbano. Dopo l’11 settembre, grazie alle nuove misure antiterrorismo, le forze dell’ordine e l’esercito hanno iniziato a comprare armi ad un ritmo più veloce, rilanciando questa industria. Oggi, le agenzie governative costituiscono ben il 40% dei ricavi del settore.
Un’altra voce riguarda le munizioni, parte enorme delle entrate di questa industria. Per dirla con le parole di un lobbista: «Nel tempo che ci si mette per vendere 80 armi del costo all’incirca di 300 dollari, queste avranno sparato per almeno 10.000 dollari di munizioni». Nel solo 2012 i ricavati delle munizioni ‘e stato quasi pari a quello della vendita delle armi leggere utilizzate per spararle.
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