Missili russi sul leader della guerriglia siriana

Missili russi sul leader della guerriglia siriana

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La Russia e il regime siriano vogliono davvero il dialogo per una soluzione negoziata della guerra in Siria, oppure ne approfittano per eliminare i leader delle opposizioni, che pure combattono contro Isis, e garantire in ogni modo la sopravvivenza del presidente Bashar Assad?
La domanda, che circola oggi tra i gruppi della rivoluzione sunnita, riflette il senso di rabbia e smarrimento dopo che venerdì dieci missili hanno centrato il quartier generale alla periferia orientale di Damasco di Jaysh Al Islam («L’Esercito dell’Islam»), uno dei gruppi più forti della guerriglia, che pur volendo rovesciare Assad si oppone a Isis, e hanno ucciso sul colpo il suo leader 44enne Zaharoun Alloush assieme ai suoi consiglieri e altri dirigenti di organizzazioni impegnate nella lotta contro la dittatura di Damasco. Le conseguenze politiche e militari rischiano di essere molto gravi, tanto da mettere in forse i colloqui di pace organizzati a Ginevra per il prossimo 25 gennaio dall’inviato speciale dell’Onu per la Siria, Staffan de Mistura.
Ancora non è chiaro chi abbia premuto il grilletto. Da Damasco i portavoce militari rivendicano la piena paternità dell’operazione. Ma i gruppi ribelli puntano il dito contro l’aviazione russa, che da fine settembre bombarda massicciamente in Siria, a parole contro Isis, ma in realtà contro qualsiasi formazione che metta a rischio il regime di Assad.
Il blitz ha comunque sortito un effetto devastante. In quel momento Alloush stava incontrando gli alti dirigenti di formazioni simili alla sua, come Ahrar al Sham (particolarmente radicata nelle regioni di Idlib e Aleppo) e Faylaq al Rahman. Ma è specialmente la sua morte che crea sconforto e rabbia. Alloush, militante del radicalismo islamico della prima ora, era in carcere all’inizio della «primavera araba« siriana del marzo 2011. Venne liberato dal regime assieme a centinaia di altri jihadisti e grazie al suo intenso carisma, ai modi spregiudicati e al sostegno saudita e turco, riuscì in breve tempo a mobilitare tra i suoi ranghi decine di migliaia di volontari.
Il suo potere era tale che agli inizi di dicembre fu tra gli esponenti di punta della lotta armata siriana a partecipare al summit di Riad, dove il governo saudita cercò di creare un fronte sunnita internazionale capace di sostenere i suoi «protetti» in Siria e controbilanciare il campo sciita aiutato dall’Iran. A renderlo politicamente rilevante, anche gli occhi dell’amministrazione americana, fu la sua scelta sempre più netta negli ultimi mesi di opporsi a Isis. Tanto che le sue milizie erano riuscite a scacciare gli estremisti jihadisti dalle zone ad est di Damasco.
Con la sua morte però torna la logica del muro contro muro. «Il regime di Putin mira a sterminarci tutti», sostengono le milizie sunnite che accusano Mosca e Damasco di non volere un autentico negoziato di pace. Mosca tra l’altro ha di recente divulgato una lista dei «gruppi terroristi» in cui è incluso Jaysh Al Islam.
Lorenzo Cremonesi


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