Il Psoe resiste: «No a Rajoy»
Più passano i giorni più il rompicapo spagnolo si complica. Bersaglio di tutti gli strali è il segretario socialista, Pedro Sánchez.
Sul fronte interno, Sánchez cerca disperatamente di rafforzare la sua leadership rispetto alla vecchia guardia, che spinge, dietro le quinte, per una soluzione più continuista possibile.
Ufficialmente, Sánchez ha chiarito che il Psoe non appoggerà mai e poi mai un governo di Mariano Rajoy. Ma le pressioni sono sempre più insistenti, e fino al 13 gennaio — data in cui si riunisce per la prima volta il nuovo Congresso — sembrano destinate a diventare insostenibili.
Dopo i chiari segnali che arrivano dai poteri forti, ben esemplificati dall’editoriale del País di martedì, che apertamente chiedeva larghe intese che tenessero fuori Podemos, ieri Ciudadanos in un disperato tentativo di riacquistare la centralità nello scacchiere politico che gli elettori gli hanno negato, chiedeva un patto a tre con i socialisti «perché nessuno possa rompare il paese».
D’altra parte, Rajoy ha incontrato proprio ieri a sorpresa Sánchez alla Moncloa. Dell’incontro si è saputo solo in tarda serata di martedì dopo che opportunamente (di nuovo guardacaso) il País aveva fatto filtrare le proposte che i popolari avrebbero per i socialisti.
Secondo il principale giornale spagnolo, i popolari avrebbero offerto ai socialisti oltre alla presidenza di una delle camere (in Spagna mai presiedute dall’opposizione), la promessa di riformare la costituzione (possibilità sempre respinta durante la scorsa legislatura) persino «blindando» i diritti sociali (il che implicherebbe fare un passo indietro rispetto alla modifica costituzionale votata da Pp e Psoe 4 anni fa per dare priorità al pagamento del debito, la cosiddetta golden rule che il Psoe ha chiesto di modificare in campagna elettorale).
Nonostante l’immediata smentita da parte del governo dell’offerta, si tratterebbe di un pacchetto molto appetitoso per il Psoe.
A parte la presidenza del Congresso che con le regole attuali verosimilmente otterrebbe comunque, il resto delle offerte a cambio di una mera astensione (a cui si aggiungerebbe quella, garantita, di Ciudadanos) sono inedite e dunque interessanti.
Ma durante l’incontro di ieri, durato solo un’ora, Sánchez ha ribadito il suo «No» a Rajoy, e così hanno fatto, ufficialmente, tutti i principali esponenti del partito. Anche la potente Susana Díaz, a capo della federazione andalusa, che ha snocciolato i suoi «no»: a Rajoy, ma anche a Podemos. Il comitato federale previsto per lunedì sarà molto vivace.
Da parte sua, Pablo Iglesias in un lucido editoriale per l’Huffington Post, intitolato significativamente «A Pedro non permettono», dopo essersi rallegrato che Ciudadanos si sia rivelato per quello che è, cioè un progetto per restituire il potere al Pp, prende anche lui a cannonate il segretario socialista e la sua scarsa iniziativa politica.
Dopo aver accusato il Psoe di essere più preoccupato di cercare un successore per Sánchez che un presidente del governo, Iglesias ribadisce le sue proposte chiave: senza usare la parola «referendum», parla di «assumere la democrazia come la via più efficace per risolvere la crisi territoriale», oltre a chiedere di «blindare» costituzionalmente i diritti sociali, derogare l’articolo sulla golden rule e ritirare le riforme del lavoro — quindi anche quella del Psoe — si oppone ai tagli, chiede di cambiare il sistema elettorale, bloccare le «porte girevoli» che portano i politici a passare a lavorare per le grandi imprese (uno dei suoi cavalli di battaglia) e assicurare l’indipendenza dei giudici, in un paese in cui la magistratura è fortemente legata al potere esecutivo.
«Se a Pedro Sánchez non permettono di provare a essere presidente — insiste Iglesias — perché magari non è neppure nelle condizioni di essere il segretario del suo partito, forse è il momento che una figura indipendente e di prestigio si prenda la responsabilità di fare i passi necessari per cercare di non far governare il Pp e di mettere fine al tempo della corruzione e della disuguaglianza».
Iglesias sa bene che buona parte del Psoe non accetterà mai le condizioni di Podemos, né quelle che gli imporrebbero i partiti catalani o baschi — indispensabili per ottenere il via libera della camera.
Ma forte di quell’unico punto percentuale che lo separa dal Psoe, inchioda Sánchez alla sua responsabilità di leader dell’opposizione, da cui presto spera di scalzarlo.
Per Filippo VI, che stasera parlerà alla nazione per il tradizionale messaggio natalizio, sarà un inizio d’anno complesso in cui avrà una centralità istituzionale inedita — dovrà proporre un candidato al presidente del Congresso se Rajoy dovesse fallire — e che molti temono.
Un capo dello stato non eletto con più protagonismo di quello protocollario potrebbe riaprire ferite mai rimarginate.
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