Scarsa concorrenza e sovrapposizione Bankitalia-Consob La finanza resta opaca

by ALESSANDRO PENATI, la Repubblica | 14 Dicembre 2015 9:07

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NELLA polemica sul dissesto delle quattro banche, Bruxelles ha ragione: il problema non è il decreto o la legge per le risoluzioni bancarie, ma che ignari risparmiatori abbiano investito in azioni e debito subordinato rischiosi.
I risparmiatori ingannati devono essere risarciti, ma non con i soldi pubblici: non si possono usare le tasse dei contribuenti per pagare i danni causati da alcuni privati. Il risarcimento dovrebbe essere a carico di chi ha sbagliato, anche per scoraggiare in futuro pratiche scorrette. Ma poiché le quattro banche sono fallite, andrebbe costituito un fondo rischi presso le nuove entità a carico del Fondo di risoluzione. Per decidere sui risarcimenti la class action sarebbe lo strumento ideale: ma in Italia non funziona, e i tempi della giustizia sono inaccettabili. Bene quindi gli arbitrati. Corretto non affidarli a Consob: il vigilante non può decidere sulla correttezza del vigilato; si troverebbe implicitamente a decidere anche sul proprio comportamento. Di fatto, è anche una sconfessione di Bankitalia, visto che presso di sé già opera un Arbitro Bancario.
Col risarcimento si apre però un vaso di pandora. Perché gli azionisti della PopEtruria sì e, per esempio, il cassettista di Mps che ha perso oltre il 90% sui titoli comprati sette anni fa no? E chi ha perso il 50% dalla quotazione della Fincantieri di Stato? E il risparmiatore che se vendesse oggi un subordinato Carige potrebbe perdere 30%?
E’ solo la punta dell’iceberg della mancanza di trasparenza su costi e rischi nel collocamento del risparmio. L’Italia è piena di banche che hanno sfruttato la fiducia dei propri clienti, ignari dei rischi, per finanziarsi collocando le loro azioni, obbligazioni rischiose e strutturati. A volte li hanno pure finanziati, o concesso in cambio un fido sul conto corrente o un mutuo a tasso agevolato. Pratiche che perdurano dai tempi dei dissesti di Bipop e Popolare di Lodi. In generale è insufficiente la trasparenza su costi e rischi di gran parte dei prodotti finanziari collocati in Italia. L’apertura alla concorrenza funziona poco. Il mercato italiano del risparmio è ricco perché i margini di guadagno sono molto più alti che altrove e lo stock di ricchezza cospicuo. Poiché gran parte della distribuzione è controllata da un ristretto gruppo di banche, assicurazioni e reti, la concorrenza tra di loro ucciderebbe la gallina delle uova d’oro. Anche gli outsider, come le Poste o le case estere, hanno tutto l’interesse ad accordarsi con chi ha in mano la distribuzione per spartirsi i margini elevati. I regolamentatori possono e devono fare di più. Ma non sono “la soluzione” per due ragioni: a) è come pensare che il tasso di legalità di un paese dipenda da poteri e numero delle forze di polizia; b) in Italia si preferisce sacrificare i diritti del risparmiatore sull’altare della “stabilità” del sistema. Arbitrati rapidi e indipendenti per i risarcimenti aiuterebbero. Ancora di più chiarezza e semplicità nella comunicazione. Non voluminosi prospetti, polizze e fogli informativi zeppi di espressioni incomprensibili, leggibili con la lente di ingrandimento, ma una sola pagina con poche informazioni a caratteri cubitali su rischi e costi. Per i rischi: la perdita massima cumulata che si è mai verificata per quella tipologia di prodotto o strumento; per titoli che hanno una scadenza, l´avvertenza che in caso di vendita anticipata il valore può essere molto inferiore al costo dell’investimento; per singole azioni o subordinati, l’eventualità di una perdita totale; per gli strutturati, le probabilità di realizzare un guadagno adeguato. Per i costi, una rendicontazione dettagliata, e in valore assoluto. Un esempio di fantasia: dei 1.000 euro che paghi per un prodotto, 15 vanno al venditore come costo di collocamento e 5 per l’apertura della custodia titoli e altri costi operativi; vengono quindi investiti 980 euro; da questi ogni anno sono sottratti 17 euro come commissione di gestione (12 al distributore e 5 al gestore) e 2 per la banca depositaria, revisori, costi vari. Se ipoteticamente avrai un rendimento finanziario di 39 euro (il 4%), pagherai 4 euro come commissione di performance. Il valore del tuo investimento al netto dei costi sarà dunque di 996 euro. In caso di riscatto, su questo ammontare pagherai 4 euro di imposte. Basterebbe questo. Anni fa produssi esempi concreti di questa informativa: il commento generale fu che sarebbe il modo perfetto per rendere invendibile qualsiasi prodotto finanziario.
4. Il problema finale è la struttura della regolamentazione: sulle banche quotate o con azionariato diffuso, la vigilanza è divisa tra Consob e Bankitalia che agisce anche come agente della Bce. La prima si occupa della trasparenza, cioè del collocamento dei prodotti finanziari e della negoziazione dei titoli; la seconda della stabilità, cioè del rischio di dissesto. In teoria i compiti sono distinti; in pratica si sovrappongono. Un’ispezione che evidenzi la necessità di maggiori accantonamenti sarebbe un’informazione sensibile da dare al mercato per trasparenza; ma potrebbe innescare una crisi, pregiudicando un aumento di capitale e quindi la stabilità. Viceversa, la vigilanza sulla trasparenza nel collocamento dei prodotti incide sulla politica commerciale, i risultati aziendali e quindi la stabilità. É una questione annosa, che la crisi attuale riporta alla luce perché la condivisione delle responsabilità tra istituzioni e la sovrapposizione di regole difficilmente genera efficienza. Come il caso delle quattro banche in dissesto, e prima ancora di Mps e molte altre, ha reso evidente.
Invece di perdersi in sterili polemiche o tentativi di scaricabarile, questa crisi dovrebbe diventare l´occasione per il governo di istituire un´indagine indipendente con il compito di compilare un libro bianco e formulare proposte concrete per una riforma complessiva del nostro settore finanziario, la cui efficienza e stabilità è una priorità per il Paese. E che dovrebbe esserlo anche per il governo.
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