Una montagna da mille miliardi tutti i titoli in pancia alle banche a rischio con i nuovi salvataggi

by ANDREA GRECO, la Repubblica | 14 Dicembre 2015 9:03

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MILANO. La direttiva europea Brrd è una rivoluzione in banca, perché dal 1° gennaio sposta il costo dei salvataggi e dei fallimenti più di prima sulle spalle di azionisti, obbligazionisti e nei casi più estremi depositanti. Ne abbiamo avuto un antipasto con la messa in sicurezza dei quattro istituti del Centro Italia, costata 788 milioni a 10mila prestatori subordinati, e che conta per l’1% degli attivi totali ma ha portato l’insicurezza nelle pance del restante 99%. Ed è normale. Perché da una parte non sarà più lo Stato a pagare gli errori delle banche, come avvenuto nei grandi paesi del capitalismo (ma non in Italia: mancavano i fondi). Dall’altra, perché la legge sul bail in allinea molto i destini delle banche e dei loro clienti.
Le migliori cautele saranno puntare sugli istituti più solidi – l’indicatore patrimoniale Cet1 dice molto – quelli che coprono meglio le sofferenze bancarie (ce ne sono per 200 miliardi, coperte da poco più del 30% al 50%, con virtù più diffusa tra i grandi prestatori), quelli che rischiano meno. Vediamo quali sono le categorie del passivo bancario – una montagna alta 1.000 miliardi di euro, circa la metà del passivo totale – che il bail in rende meno sicure, perché le chiama a coprire almeno l’8% delle perdite di un istituto, prima che possa intervenire il Fondo di tutela del settore e a mali estremi la fiscalità generale.
CAPITALE E MEZZI PROPRI
Azioni e fondi di riserva sono il cuore del patrimonio, il primo elemento di stabilità. Le maggiori banche quotate a Piazza Affari – le 13 direttamente vigilate dalla Bce e che rappresentano i quattro quinti del mercato – hanno circa 125 miliardi di euro di capitale. Più qualche miliardo per le banche di taglia più piccole, più 20,5 miliardi di patrimonio delle Bcc riunite in Federcasse. E’ il capitale di rischio per eccellenza: cambia consistenza quotidianamente (per le quotate) e chi lo detiene deve prestare più attenzione perché sarà il primo a pagare. Comunque questo cuscinetto rappresenta una discreta garanzia, perché equivale a oltre il 5,5% delle passività totali. Per fare un raffronto, le crisi bancarie degli ultimi anni in Europa hanno portato gli istituti colpiti a bruciare in media il 3% dell’attivo.
BOND SUBORDINATI
Sono la forma di prestito più rischiosa, perché rimborsata per ultima in caso di crack. Secondo dati di inizio novembre, nei caveau degli istituti nostrani ce ne sono per 71,25 miliardi, suddivisi in 286 emissioni da parte di 65 banche, con importo medio 250 milioni. Accanto a queste ci sono circa 5 miliardi di “At1”, le subordinate di nuovo tipo però riservate agli investitori istituzionali. I subordinati di vecchio tipo, invece, si sono diffusi dopo il 2011, per rafforzare le banche che iniziavano a bruciare capitale. Secondo il rapporto Bankitalia di novembre 2013, due mesi prima ce n’erano per 61 miliardi, di cui 35 tra il largo pubblico; un’anomalia tutta italiana, che per anni ha portato gli emittenti a far valere le loro ragioni sui controllori Consob e Bankitalia, con casi di abusi nella distribuzione (19 milioni le sanzioni Consob dal 2007 a riguardo). Banchieri esperti ritengono che anche oggi oltre metà dei subordinati sia dei risparmiatori. Circa tre quarti del totale è emesso da Intesa Sanpaolo e Unicredit, che però sono le due maggiori banche, chiamate dai regolatori ad avere patrimoni e gestioni più solide. Ce ne sono per circa 6 miliardi a Siena (Mps), che negli anni della crisi più dura ne ha emesse sulla rete in quantità. Ce n’è per un miliardo tra le popolari di Vicenza e Veneto, oggi in crisi e che non hanno superato i test Srep della vigilanza (difatti stanno per aumentare il capitale). Ce n’erano per 788 milioni tra Etruria, Marche, Ferrara e Chieti; ma da novembre non ci sono più.
OBBLIGAZIONI ORDINARIE
I bond bancari senior sono un’altra specialità nazionale, perché le grandi banche li hanno usati, durante la crisi del debito sovrano, come raccolta di liquidità. Da quando la Bce si è messa a sparare moneta e i tassi sono crollati, il loro fascino è sfumato: meno 35% negli ultimi quattro anni secondo uno studio di Moody’s. Il loro privilegio rispetto ai subordinati fa sì che per doverne “tagliare” il valore una banca, nel contesto “bail in”, dovrebbe perdere l’8% dell’attivo, un caso mai visto. Tuttavia, con perdite dal 4% in su una frazione crescente di quei prestiti sarebbe trasformata in capitale, per fare più robusta la banca (ma più rischioso l’investimento).
CONTI CORRENTI E CONTI DI DEPOSITO
Dove la direttiva Brrd fa più paura è sui conti correnti, anche se sono i più lontani dal rischio di erosione. Secondo un rapporto Bankitalia di fine ottobre ci sono circa 1.600 miliardi. Stime di mercato e dati ufficiali indicano che circa due terzi sono dispersi su dossier inferiori ai 100mila euro, quindi non considerati in caso di perdite. Mentre per circa 500 miliardi c’è un rischio remoto che nei dissesti gravi debbano pagare anche i correntisti più ricchi, siano c/c o conti di deposito (ce ne sono da 125 miliardi a due anni, e 309 miliardi a 3 mesi).
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